Occhi dentro Occhi – associazione braccia aperte Onlus

Occhi dentro occhi e prova a dirmi se / un po’ mi riconosci o in fondo un altro c’è sulla faccia mia / che non pensi possa assomigliarmi un po’”. Parole dei Negramaro (Quel posto che non c’è), scelte perché sentite immediatamente e dolcemente consonanti, pienamente e poeticamente in armonia con gli “Amori boliviani”. L’eco che risuona ancora dentro è vibrante “emozione”. Come una cantilena. La stessa provata – quell’emozione di pancia, che non dimentichi facilmente e non cancelli, e soprattutto non controlli – quando ho avuto modo di fermarmi ad osservare – estraniato da tutto – le immagini della mostra La sonrisa de un niño.
Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.

Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.
L’associazione Braccia Aperte, in prima linea in questo splendido progetto di solidarietà internazionale che si chiama “Amori boliviani”, promosso dalla Cooperativa sociale Itaca e ora adottato anche da Folkest, ha iniziato nel 1995 proprio da qui. Dall’adozione da parte di sei famiglie (primo amore boliviano) di bambini abbandonati, orfani e soli. Quando un gruppo di amici, uniti da questa comune esperienza, ha deciso di costituirsi in associazione con il semplice intento di poter creare solidarietà nei confronti delle persone più deboli ed emarginate della Bolivia.

“Mani dentro mani e prova a stringere / tutto quello che non trovi / negli altri ma in me”. Sono tante le mani che in questi mesi hanno stretto gli “Amori boliviani”, a partire da quelle di Letterio Scopelliti, scrittore e giornalista, oltre che – prima di tutto – amico. Elettivo, di quelli che si scelgono, e che ti scelgono.
Mani, quelle di Letterio, che in 24 notti insonni guidate dal cuore hanno concepito oltre 26 mila parole, 2 mila frasi, 130 mila caratteri che costituiscono le 136 pagine di “Amori boliviani. Vola dove il cielo abbraccia la Madre Terra”, il suo ultimo lavoro edito da Bracciaaperte.it, il cui ricavato andrà direttamente al progetto Monteagudo per il completamento della costruzione di una scuola per i bambini orfani, abbandonati e soli della cittadina nel sud-est della Bolivia.
Mani che gli amici di Braccia Aperte stringono da 13 anni e che Letterio ha avuto il cuore (il coraggio e la generosità) di sfiorare, toccare, afferrare, stringere, ascoltare, comprendere. Mani alle quali ha dato voce con le sue parole. Perché è il cuore che governa il libro di Letterio Scopelliti.

“Potessi trattenere il fiato prima di parlare / avessi le parole quelle giuste per poterti raccontare”. Più volte inviato all’estero e in particolare in America, Australia, Russia, Europa e Balcani, Letterio Scopelliti ha viaggiato in Africa, Medio Oriente e America Latina. Giornalista, scrittore e saggista, di Letterio mi piace ricordare (per non citare I ragazzi della panchina, di metà anni ’80), “Manicomio addio. Storie di “matti”, chiude uno degli ospedali psichiatrici d’Italia (1997) e “Bosnia dimenticata, crimine di pace” (2003). Scopelliti ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi (Unicef), alcuni suoi libri sono diventati film o rappresentazioni teatrali.
Giornalista come pochi ne sono rimasti, di quelli che il territorio lo presidiano e lo fanno presidiare, Letterio è autore tanto lontano dai grandi circuiti commerciali tradizionali quanto sincero, appassionato, sensibile e professionale nelle sue indagini. Giornalista a tutto tondo, usa le parole scritte e le immagini fondendo con sapienza le une alle altre.
In “Amori boliviani” non adopera mani e cervello ma cuore, delicatezza e eleganza. Anche nel linguaggio. E utilizza le parole giuste per raccontare la Bolivia di ieri e quella di oggi. “Bambini”, dopo Bolivia, è la voce più diffusa nel libro. I bambini sono i veri protagonisti non solo del libro “Amori boliviani” e della mostra fotografica, ma dell’intero progetto adottato da Itaca e Folkest.
Le oltre 100 immagini de La sonrisa de un niño sono dello stesso Letterio e di Antonio Ferronato, coordinatore del progetto Monteagudo per Braccia Aperte. Volontario salesiano in Bolivia a 21 anni, Antonio è ambasciatore della Bolivia in Italia, spirito rivoluzionario autentico e generoso nel suo darsi agli altri, gratuitamente. La sua storia, e non solo la sua, è raccontata nel libro di Letterio.
I nostri occhi si rispecchiano, se sappiamo guardare oltre, negli occhi dei bambini boliviani. Occhi dentro occhi… – dicevamo all’inizio con i Negramaro – dentro ai quali, se vogliamo, come insegnano Letterio e Antonio, ci possiamo anche rispecchiare. Occhi che non parlano soltanto della condizione dell’infanzia in Bolivia, ma anche di noi.
Perché la fotografia è l’immagine di un’idea. Fotografare non è solo semplice e asettica riproduzione della realtà, ma anche dare una propria interpretazione del mondo che ci circonda. Cogliere un istante. E lasciare agli altri la visione soggettiva di un frammento di vita. In questo caso emozione pura. Che non sempre consente di “trattenere il fiato prima di pensare”.
E’ quell’emozione che ti sgorga da dentro, erompe come un fiume in piena, un’onda che scaturisce dall’intimo più intimo e che non pensavi di avere dentro. Tanto che dopo i fiotti sei costretto a riflettere sulla sua origine. E “bocca dentro bocca” non puoi “non chiederti perché”, perché tanto “tutto poi ritorna”.

Le parole scritte da Letterio, quelle condivise in questi mesi, le sue immagini e quelle di Antonio sono capaci di toccare corde profonde. Emozioni. Come quelle di un padre e un figlio, una madre e un figlio che si incontrano per la prima volta. Persone – in questo le parole dei Negramaro bene sintetizzano lo spirito di Braccia Aperte – una di fronte all’altra. Si guardano negli occhi, avvicinano le mani, si stringono, si riconoscono.

“Ognuno di noi da solo non vale niente” (…) per questo dovete “sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario”. (Ernesto “Che” Guevara nella Lettera ai figli)
I temi affrontati e indagati da Letterio Scopelliti nel suo libro, con ricchezza di voci e informazioni, sono ricchi e si intersecano. A partire dai numeri dell’infanzia boliviana, tragicamente dolorosi: come Letterio ricorda sono 1,6 milioni i bambini che lavorano (1/5 dei bambini tra 5-14 anni), 9 bambini su 10 sono maltrattati, 2 milioni sono i bambini che vivono sotto la soglia della povertà (il 20% della popolazione della Bolivia), il 35% dei bambini non viene pagato per il lavoro che comunque svolgono.
I numeri della Bolivia non sono da meno: il 60% della popolazione vive come meno di 2 dollari al giorno, il 70% vive sotto la soglia di povertà.
Un’eco che costringe il lettore ad affrontare il libro in religioso silenzio. Che pareggia con l’assenza di rumore della spesso affollata Bolivia, e si scontra con il frastuono incredibile, il brulichio, la musica, i canti e i balli della manifestazione annuale per la Vergine di Copacabana, la Santa Patrona della Bolivia.
Il ruolo della Chiesa, e dei Padri salesiani in particolare, in Bolivia si è rivelato fondamentale. A partire dal progetto Don Bosco, avviato 20 anni fa con la trasformazione degli orfanotrofi di Santa Cruz in case (Hogar) per bambini abbandonati, maltrattati e malati. I salesiani – come bene evidenzia Vittorio Pierobon, vice direttore del Gazzettino nella prefazione al libro di Letterio – sono i veri pilastri, la loro presenza capillare ha supplito alle colpevoli carenze di uno stato che non c’era. Grazie anche al ruolo dei volontari, altre figure fondamentali che hanno consentito alla Bolivia di rialzare la testa.
Tralascerò il come e perché Letterio sia arrivato fino in Bolivia, come non dirò nulla del matrimonio del giovane Antonio con Valeria, e del viaggio nel viaggio successivo. E, nemmeno dirò alcunché dell’assenza di spirito cooperativistico nelle cooperative boliviane, della speculazione sui lavoratori (spesso bambini), dei padri che sfruttano i figli.

San Ernesto de La Higuera. Ecco di lui avrei voluto dire di più. Scopelliti dedica un intero capitolo, l’ultimo, alla figura del guerrigliero, rivoluzionario e medico argentino assassinato in Bolivia nel 1967.
Letterio lo sa, ma dopo la descrizione del nonno dal poncho bianco non ho resistito e mi sono immerso. Volevo sapere, volevo vedere attraverso la sua lente, Che Guevara ed i suoi luoghi.
Tra sacro e profano, lo sguardo coglie una Bolivia sincretica, a migliaia di metri sulle Ande, restituendo oggi un quadro inedito e straordinariamente originale. La trasformazione di un mito, anche mediatico, in liturgia. E turismo. Sulla Ruta del Che, progetto del presidente Evo Morales, che prevede di costruire 800 chilometri di itinerari culturali, tra storia e ricordo.
In anteprima assoluta per Folkest, la mostra “La sonrisa de un niño” si è arricchita di altre 12 immagini straordinarie ed inedite come le precedenti 100. Si tratta de “La ventana del Che” (da un’idea dell’amico e collega Alberto Chicayban), con fotogrammi che ripercorrono le ultime tappe del Comandante Guevara: dalla lettera-testamento a la Higuera, Vallegrande, …

Occhi dentro occhi (…) Mani dentro mani (…) Bocca dentro bocca (…) Si cercano, si aspettano, si incontrano, si riconoscono. E iniziano un cammino insieme, per la vita. Una madre, un padre e un figlio abbracciati costruiscono una nuova famiglia, si accolgono, si raccontano, si scoprono e si guardano, giorno dopo giorno. Come gli amici di Braccia Aperte con i loro figli della Bolivia, come Antonio, e come Letterio che le “parole quelle giuste (…) quelle grandi” le ha trovate.

Fabio DELLA PIETRA

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