Tratto da … “Amori boliviani”

Le cime dei monti sono i suoi seni, i fiumi il suo latte di vita e i campi il suo fertile grembo. Pachamama, in lingua quechua. Madre nutriente che dà la vita. È un’esperienza straordinaria volare dove il cielo abbraccia la Madre Terra. Può mostrare però anche il suo lato crudele, quando produce terremoti, per ricordare ai suoi figli che devono sempre onorarla.
Un tramonto caldo e lento colora di rosa e arancio Tiwanaku, patrimonio del mondo. Lama, zigomi andini e case rosse di mattoni, stesso colore della terra intorno. Gli occhi si riempiono di queste immagini a 4000 metri di cultura. Risplendono davanti alla Porta del Sole, unico blocco di pietra di 100 tonnellate. A sud del lago Titicaca, una settantina di chilometri da La Paz, anticamente Nostra Signora della Pace.
Tiwanaku era Chucara. Una città completamente sotterranea. In superficie il cantiere per tagliare le pietre e il villaggio degli operai. La città continua a conservare il suo mistero e nasconde ancora oggi la chiave di una straordinaria civiltà che risale a tempi lontanissimi. Tiwanaku una macchina per misurare il tempo dalla precisione spaventosa, in grado di regolare la vita agricola e religiosa dei suoi abitanti. Sorse in una notte, costruita da un popolo di giganti. Forse ispirati dal cielo delle Ande. Su un territorio che si estendeva lungo le attuali frontiere di Cile, Perù e Bolivia.
Nella mente e negli occhi di Antonio ritornano le letture di bambino, quando Maya, Incas e Aztechi erano favole, leggende di sangue e astronomia. Sogni di viaggio. Ancora immagina, rivivendo quelle pagine d’infanzia, gli stessi spagnoli, affamati d’oro una volta saziati di sangue, trascinarsi fin quassù, bollendo dentro le pesanti armature, in cerca della ricchezza e con l’illusione di trovare il mitico Eldorado.
Le stelle sono vicine, il silenzio è totale. Pachamama era venerata dagli Inca, ora dagli abitanti dell’altopiano andino, Aymara e Quechua. Le popolazioni andine, praticano ancora oggi il culto del ringraziamento alla Pachamama, restituendole il nutrimento che essa fornisce loro.
«Viene scavato un fosso, un’enorme buca nella quale sono riposti alimenti, che vengono cucinati appositamente. Ognuno versa una porzione di cibo, ringraziando la Madre Terra. Al termine la buca viene completamente ricoperta e ogni abitante depone una pietra. Si forma una vera e propria montagnola di sassi. E’ chiamata Apachete. Solitamente si sceglie sempre il luogo più in alto per far sì che sia il più possibile vicino al Sole».
Una lacrima scende dagli occhi grandi di Antonio. La  moglie non c’è. Si chiama Valeria e lei quella storia la conosce bene, sin da bambina. Hanno due figlie e un figlio, lavorano in Italia, dall’altra parte del mondo. E lì, in un paese tra Treviso e Venezia dove è nato, vive la sua famiglia.
Antonio oggi ha 68 anni. Valeria 57. Lei è boliviana. Il suo paese d’origine è al confine con il Paraguay, una sessantina di chilometri da Monteagudo, nella Ruta del “Che”. All’età di 11 anni era finita in un orfanotrofio. E’ il 1964, l’anno del colpo di Stato militare che portò alla presidenza il generale Barrientos Ortuno. Fu durante il suo governo che s’infiammò la guerriglia del “Che” nel dipartimento di Santa Cruz. E fu lui a dare l’ordine di assassinare Ernesto “Che” Guevara il 9 ottobre del 1967.
Antonio a Tiwanaku è di casa. Aveva 21 anni la prima volta che  arrivò in Bolivia come volontario salesiano. Dopo aver frequentato un paio di anni la scuola di Don Bosco a Torino e imparato il mestiere di tipografo, gli venne proposto di andare a La Paz. A quell’età e in quei tempi una scommessa sulla vita. Una sfida che raccolse subito. Anni difficilissimi in America Latina governata dai militari. Colpi di stato uno dietro l’altro da destra e da sinistra.
Ad un tratto fra enormi pietre, là in alto sulla punta di quella roccia rossa, sembra di vedere per un attimo, un vecchio Inca. Forse un sacerdote che a occhi chiusi, come in trance, prega offrendo piccoli animali a Inti, il dio sole, a suo fratello vento e alla Pachamama, la natura madre dolce e generosa. E canta nenie impercettibili dondolandosi avanti e indietro.
«I boliviani sono cattolici, ma la religione è fortemente contaminata da credenze tradizionali indiane. Come l’adorazione del Sole, della Luna e della Terra. E’ questo che bisogna saper anche cogliere in questi luoghi» dice Antonio.
Siamo qui, sbarcati dopo un viaggio di 27 ore da Venezia, e la magia di questi luoghi ti rapisce senza che ti accorgi di nulla.
Oggi è il 21 giugno del 2010. Primo giorno d’inverno in Bolivia, primo giorno d’estate in Italia. Migliaia di persone hanno accolto a Tiwanacu l’inizio dell’anno 5518 del calendario aymara. C’è anche il presidente della Bolivia, Evo Morales. Questa mattina ha chiesto la benedizione della Madre Terra e del Padre Sole per tutti i popoli andini. Davanti al tempietto di Kalasasaya seguo i riti con Antonio. E’ un ampio cortile, oltre trecento metri di lunghezza. Ci mescoliamo tra i mallkus e amateus, i capi e saggi indigeni. Hanno atteso tutti con le mani in alto i primi raggi del sole, per potere percepire la sua forza ed energia.
Durante uno dei riti, gli amateus hanno sacrificato alcuni lama. Hanno versato il loro sangue sulla terra, insieme a foglie di coca e alcol. E invocato la fertilità per l’agricoltura e i ringraziamenti per i doni ricevuti. Il 21 giugno, qui, è festa nazionale. E si beve come non mai in tutto l’altopiano. Il consumo di alcol non è gestibile, anche perchè serve per combattere il freddo. Si commemora il solstizio d’inverno. È conosciuto con il nome di Willakakuti nella zona andina e di Yasitata Guasù nella pianura.
Siamo davanti alla Porta del Sole. L’architrave è scolpito con 48 effigi alate ciascuna in una piazza, 32 con volti umani e 16 con le teste di condor. Tutti guardano alla figura centrale, ma la sua identità ancora oggi è un’enigma. Il condor delle Ande, uno degli uccelli più grandi del mondo con un’apertura alare di tre metri, può trasportare senza sforzo carcasse anche di venti chili. E lo fa ancora oggi.
E’ la prima volta a Tiwanaku per me. Chiudo gli occhi. E le parole, tra migliaia di andini, diventano silenzio. Antonio mi sussurra all’orecchio una preghiera. Parole che dondolano ancora.
«Terra, Dea divina, Madre Natura, che generi ogni cosa e sempre fai riapparire il sole di cui hai fatto dono alle genti. Guardiana del cielo, del mare e di tutti gli Dei e delle potenze, per il tuo influsso tutta la natura si quieta e sprofonda nel sonno. E di nuovo quando ti aggrada tu mandi innanzi la lieta luce del giorno e doni nutrimento alla vita con la tua eterna promessa. E quando lo spirito dell’uomo trapassa è a te che ritorna. A buon diritto invero tu sei detta Grande Madre degli Dei. Vittoria è il tuo nome divino. Tu sei possente, Regina degli Dei. O Dea io ti adoro come divina, io invoco il tuo nome, degnati di concedermi ciò che ti chiedo, in modo ch’io possa in cambio colmare di grazie la tua divinità, con la fede che ti è dovuta».
Gli occhi di Antonio diventato rossi. Scende una seconda lacrima.
«La terra è nostra madre, ha un’anima. Quella preghiera è conservata all’erbario inglese del XII secolo del British Museum. Tutti gli esseri umani, a partire dai governi nazionali, devono rispettare la terra. I diritti della Madre Terra sono più importanti di qualsiasi altro diritto umano, perché rispettarla significa difendere l’intera umanità. La terra e i suoi prodotti non devono essere convertiti in merce. Tutti siamo suoi figli. Se la percezione del pianeta non cambierà nessuno si salverà, nemmeno chi possiede mezzi e ricchezza».
E’ l’inizio di un viaggio. Amori boliviani per questa terra. E anche l’inizio di un viaggio dentro un altro viaggio. Una sfida nata da un desiderio d’amore che vive: scoprire le origini della moglie Valeria.

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«Amo il sale della terra, amo il sale della vita….». Antonio canta Rino Gaetano, una meteora della musica italiana. Qui dove la terra è sale, il sale è vita. Qui, sulle Ande boliviane, che lasciano di sale il visitatore per la loro bellezza mozzafiato. Ogni sforzo si paga caro a oltre 3.600 metri sul mare. In questo immenso e candido deserto circondato da vulcani, nel sud-est di Potosi, 750 chilometri da La Paz. E’ parte dell’altopiano confinante con Cile e Argentina, dove esistono solo il bianco e il blu. E dove per 250 chilometri da est a ovest e per 150 da nord a sud il cielo si fonde con il sale. E’ il Salar de Uyuni. Oltre a costituire il giacimento di sale più vasto e alto della terra è una delle maggiori riserve di litio del pianeta. Giapponesi e cinesi proprio in queste settimane stanno cercando di chiudere un accordo di milioni di dollari. Il litio nell’industria elettronica fa gola. E non solo come materia prima per le batterie.
Un giorno intero di viaggio con Antonio da La Paz.
«Salar è bellezza, magia, avventura, paesaggio unico, selvaggio, estremo. Da giugno a settembre le temperature notturne precipitano da +14 a -10. Nei pochi alberghi acqua calda riscaldamento e luce sono precari. I telefoni tacciono. Internet forse arriverà in una delle strutture che circondano questo pianoro ricoperto di uno strato di 2-10 metri di cloruro di sodio, che perennemente si rinnova».
Antonio mi guarda, sorride e spalanca gli occhi. Poi un abbraccio fortissimo. Come a un fratello.
«Sei più giovane di me di 12 anni. Hai capelli e barba bianchi. Hai girato tutto il mondo. Sei andato anche per guerre. Hai scritto libri. E abbiamo lavorato insieme per tanti inverni e primavere. Ho cercato più volte di convincerti a volare dove il cielo abbraccia la Madre Terra. Adesso, dieci anni dopo, finalmente ci sono riuscito. Sei qui nella terra boliviana. E io sono felice. La  nostra amicizia è più grande ancora, indissolubile».
Una mattina di sei mesi prima, sulla mia scrivania in redazione, di ritorno da uno dei viaggi in Bolivia Antonio aveva appoggiato un cd. C’erano memorizzati un video, fotografie e musica. E poi sul tavolo anche un libricino colorato con volti di bambini. Orfani, tutti sorridenti. E un biglietto.
«La Bolivia ti aspetta da anni, quel giorno è arrivato. Ciao Antonio».
Quei sorrisi di bimbi erano riusciti a emozionare il mio cuore. Sì, perchè sono stato sempre convinto che a muovere le cose nel mondo, alla fine, è soltanto il cuore. Vivo sapendo di non sapere. Vivo come se oggi fosse sempre il mio primo e il mio ultimo giorno di vita. Antonio è felice. E io ancora di più.
«Bisognerà trovare un alloggio per la notte e provvedere anche al pieno di gasolio della jeep, presa a noleggio. Se ci si accontenta delle pensioncine molto spartane, con letti di sale in stanze gelide con sacco a pelo e scarpe resistenti potremmo risparmiare anche tanto. Troveremo cibo, sano e saporito, a base di quinua e carne di lama».
Sulla strada di terra s’incontrano animali e bambini.
«Troppo spesso la Bolivia è considerata semplicemente la sorella povera del Perù. Non è vero. La popolazione di questo Tibet americano è tra le più pure e incontaminate del continente e nelle vene dei due gruppi autoctoni scorre sangue amerindo, così come all’epoca incaica risalgono molti usi e tradizioni degli indios, compresi i coloratissimi abiti di lama».
Qui davanti al sale della vita, Antonio apre il suo cuore e mi confida il suo segreto: quell’amore boliviano. Seduti dentro la jeep e davanti al Salar. Lo fa in silenzio con i colori del bianco e blu. Gli unici possibili in questo microcosmo. C’è sempre in ogni storia, un inizio e una fine. Quella di Antonio è una storia senza fine. L’inizio, invece, c’è nel 2000. L’ascolto tutta d’un fiato, poi in quel silenzio la ripercorrono dentro la mia mente.

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Bambini che camminano aggrappandosi alla mano di nessuno lungo la strada oscura della vita. Sono cosí forti e cosí fragili. Cosí esperti e cosí innocenti. Cosí lucidi e cosí folli. Non conoscono lo zucchero filato, né i carillon.
Quando a otto anni si conosce invece l’angoscia della “clefa”, colla da sniffare, la marijuana o altri tipi di stupefacenti, o si dorme in un canale della fognatura, o si ha come unico legame familiare una banda di delinquenti di strada, si é giá superato il limite dell’infanzia. Vivere nelle strade in queste condizioni equivale esattamente a vivere nell’inferno. E’ uno spazio di disuguaglianze, con le sue proprie leggi e dove sopravvive quello che è più furbo e forte, perchè non c’è alternativa.
E’ la cruda realtá. Se racconti loro di Babbo Natale, si mettono a ridere. Perché, chiaro, da lui non si aspettano nulla. Loro giocano con ció che capita nelle mani e per caso. Litigano per qualsiasi cosa. Si raccontano, quando qualcuno si rivolge loro in modo diretto, attraverso i dolori. Le loro tenerezze, i sogni e le speranze.

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«L’8 ottobre 1967, una frase in codice “papà cansado”, per voi in italiano significa papà è stanco, viene trasmessa via radio a La Paz: è la notizia che il Che è stato catturato. Dopo 18 ore di calvario viene ucciso. Susanna, l’infermiera che prese in consegna il cadavere del Che, è ancora viva. Andiamo a trovarla. Abita qui, nel mio paese. Dopo aver fatto l’infermiera, sino a non molto tempo fa, lavorava in un negozio e vendeva un po’ di tutto».
Quando le portarono il corpo, gli ufficiali la obbligarono a lasciare tutti gli altri malati per occuparsi solo di lui. Quegli occhi del Che bianchi e spalancati le sono rimasti dentro la mente fino ad oggi. Se li sogna molte volte la notte.
«Sembrava che mi guardasse dritto nel cuore. Pareva Gesù Cristo. Ricordate quelle foto? Il corpo del Che sulla barella, a torso nudo, con gli occhi aperti? Quelle immagini girarono su tutto il pianeta. Il cadavere fu affidato a due infermiere che lo lavarono, preparandolo alla sepoltura. Una ero proprio io»……………………….

Prefazione al libro “Amori Boliviani”

Non c’è solo il mal d’Africa. Ci sono altre terre che ti conquistano e ti entrano nel cuore. Amore a prima vista, si potrebbe dire. Letterio Scopelliti, giornalista sensibile e scrupoloso, con il senso della notizia e con il garbo giusto per raccontarla, si è innamorato della Bolivia. Non a caso il libro-reportage si intitola “Amori boliviani” riferendosi al sentimento  che unisce i protagonisti della storia narrata, ma ammiccando  anche a quello che è scoppiato tra l’autore stesso e il Paese sudamericano.

La Bolivia, per noi europei è un Paese semisconosciuto, spesso viene confusa con la Colombia, probabilmente per un errato denominatore comune legato alla cocaina e alla produzione di piante di coca. Poco altro. Sfido chiunque a citarmi il nome di una città boliviana che non sia La Paz o a dirmi i nomi di personaggi famosi nativi della Bolivia. Il vuoto. Ma per ignoranza nostra. Noi occidentali crediamo che conti solo ciò che gira attorno al nostro mondo. Siamo ancora fermi  al Roma caput mundi.

Letterio Scopelliti ha avuto l’umiltà di avvicinarsi alla Bolivia con gli occhi del cronista, scevro da qualsiasi pregiudizio, desideroso di scoprire e capire. E in pochi giorni l’ha percorsa in lungo e  in largo, dalle foreste amazzoniche a nord-est di Santa Cruz ai picchi andini a cinquemila e passa metri attorno a La Paz, dal lago Titicaca ai confini con il Perù allo sterminato Salar de Uyuni, il lago salato che nasconde la più grande riserva di litio del mondo, e ancora dal santuario della Madonna di Copacabana (non quella brasiliana) al gsantuarioh di Vallegrande, dove venne portato in esposizione in corpo di Ernesto Che Guevara, ucciso a La Higuera nella selva boliviana.

Certo, questo viaggiare frenetico non sarebbe stato possibile se Scopelliti non avesse avuto l’assistenza dei padri salesiani, potendo contare sulla loro ospitalità e sul loro profondo radicamento nel territorio. I salesiani, autentici “uomini di Dio”che hanno consacrato la loro vita alla preghiera, ma anche e soprattutto all’azione concreta sono una delle architravi su cui è poggiata la crescita sociale e culturale del  Paese. Uomini come padre Carlo Longo di Trebaseleghe, padre Ottavio Sabbadin  di Loria, o padre  Thelian Argeo  Corona, messicano, le cui figure vengono appena ricordate per ovvie esigenze narrative, sono i pilastri su cui poggia l’organizzazione salesiana in Bolivia. Autentici benefattori che trovano nella fede la forza per compiere un lavoro che non ha prezzo.

Una presenza capillare e qualificata, quella salesiana. Una presenza che da sempre ha supplito alle carenze di governi ballerini, soggetti ai colpi di  Stato e poco inclini alla democrazia, che si sono succeduti nel tempo. Dove non c’è lo Stato ci sono i salesiani con scuole di ogni ordine e grado, università comprese, centri accoglienza per ragazzi di strada, ragazze-madri, orfani, e ancora centri di avviamento professionali, presidi sanitari. Un contributo fondamentale allo sviluppo della Bolivia. Lo ha capito anche Evo Morales, l’ex sindacalista dei lavoratori della coca, primo indio a diventare presidente della Repubblica che, pur ispirato da principi marxisti, si è reso conto che la Bolivia non può fare a meno del contributo salesiano. L’istruzione e i servizi sociali sono in gran parte gestiti dai volontari cattolici, eredi di quelle missioni giunte al seguito dei conquistadores. Allora – purtroppo – la religione avanzava a colpi di spada. Oggi – meravigliosamente – la religione è al servizio degli ultimi. La missione sociale, viene ancor prima di quella evangelica.

Letterio nel suo viaggiare frenetico – in aereo, in pullman lungo le salite a precipizio, in fuoristrada e persino a dorso di mulo – ha avuto sempre l’assistenza dei salesiani e la compagnia dell’altro grande protagonista di questa storia d’amore per una Terra: Antonio. gTonih, come lo chiamano in molti, si è sposato con la Bolivia. E non è una frase retorica, perché davvero Antonio, ormai molti anni fa, si è sposato con una ragazza boliviana, Valeria, che gli ha donato tre splendidi figli. Una storia che, nel libro di Scopelliti, diventa il filo di Arianna che porta l’autore attraverso il cammino di Antonio – giovane insegnante italiano in un istituto salesiano a Sucre, l’antica capitale, che si innamora di una ragazza non ancora diciassettenne che viveva in un collegio di suore sperso sulle pendici andine a Monteagudo – a farci scoprire le bellezze e le contraddizioni della Bolivia.

Un Paese di meno di 10 milioni di abitanti, distribuiti su una superficie tripla di quella dell’Italia. Spazi infiniti. Silenzi. Terra dura, ostile. Clima vario, dal caldo equatoriale al gelo andino. Situazioni estreme. Nessuno sbocco a mare: prigionieri della cintura formata da Brasile, Paraguay, Argentina, Cile e Perù. Metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. E questo nonostante la ricchezza di materie prime (argento, stagno, gas e litio, minerale base per la composizione delle batterie dei cellulari) i cui proventi finiscono in gran parte alle multinazionali straniere, lasciando solo le briciole ai boliviani. A pochi boliviani. Ora Morales sta cercando di nazionalizzare miniere e giacimenti, ma il processo non è facile: tecnologie, macchinari e professionalità sono in mano straniera. La Bolivia per poter camminare con le proprie gambe  deve colmare un gap culturale e formativo frutto di centinaia di anni di sfruttamento.

Gli Amori boliviani di cui racconta Letterio non possono prescindere da questo contesto, anzi ne sono fortemente influenzati. Valeria, la ragazzina orfana, di cui si è innamorato Antonio, è figlia di quella e questa Bolivia. Paese in cui è normale abbandonare i figli. Paese dove frequentare un scuola è ancora un privilegio. La strada del riscatto sociale per tutti è ancora difficile. La Bolivia ha bisogno di essere aiutata, sostenuta nel suo percorso. E questo libro, scritto con il cuore da un collega del Gazzettino che ho sempre apprezzato per la grande sensibilità d’animo e l’onestà intellettuale, rappresenta un importante mattone nella costruzione della nuova Bolivia. Un contributo di conoscenza, ma soprattutto un’intensa testimonianza. Una testimonianza d’amore, come quella di Braccia Aperte, l’associazione di Zero Branco, formata da famiglie che hanno adottato bambini boliviani, che da anni, in segno di attaccamento con la terra d’origine dei figli, sostengono con importanti offerte, frutto di sottoscrizioni, mercatini e pesche di beneficenza, progetti in Bolivia. Hanno già interamente finanziato la costruzione di un modernissimo centro d’accoglienza per bambini cerebrolesi. Ora, trascinati da Antonio, stanno raccogliendo fondi per una scuola polifunzionale che accoglierà un migliaio di giovani: dall’asilo alle superiori. Già una parte del complesso è stato inaugurato. E la scelta del luogo dove far sorgere questo istituito è ancora un volta un segno d’amore: Monteagudo il paese dove è stata accolta dalle suore la piccola Valeria, la moglie di Antonio.

E così il puzzle di storie, che si intrecciano nella narrazione di Scopelliti, si chiude. Antonio, autentico gambasciatoreh della Bolivia in Italia, con l’aiuto dei generosi volontari di Braccia Aperte, e la guida dei salesiani, sta portando il suo regalo di nozze a Monteagudo. Una scuola per tutti i bambini di quella vasta e dimenticata porzione della Bolivia. Lì ieri è nato un amore. Lì oggi nasce, per migliaia di bambini, la speranza di un futuro.

 

Vittorio Pierobon

Vice Direttore del quotidiano Il Gazzettino

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Partecipare alla vita associativa e sostenere le attività è un obiettivo primario per i nostri soci e simpatizzanti.

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Una, due, tre mezze giornate all’anno di partecipazione si concretizzano con importanti risultati in favore dei progetti in corso.

A tale proposito ti portiamo due esempi:

  1. nel periodo pasquale l’Associazione si impegna nella vendita di uova personalizzate;
  2. durante tutto l’arco dell’anno è disponibile un mercatino di prodotti artigianali boliviani.

Proporsi per gestire ed effettuare una vendita nella propria area di residenza e non, sensibilizzando l’opinione pubblica può essere una forma di grande collaborazione e responsabilità.

Bolivia

Si ritiene che le prime tracce di civilizzazione delle Ande boliviane risalgano a circa 21.000 anni fa. Le culture precolombiane più importanti furono quelle dei Tiahuanaco e degli Incas, che furono a capo di un grande che comprendeva buona parte degli attuali Perù, Bolivia, Ecuador e Cile settentrionale.

La conquista spagnola del paese iniziò nel 1531 con Francisco Pizarro per impadronirsi, nel giro di due anni, del territorio che venne identificato col nome di Alto Perù. Nel  1544 furono scoperti depositi di argento a Potosì, che divennero il sostegno dell’economia spagnola per più di due secoli.  Si ottenne l’indipendenza dalla dissoluta amministrazione spagnola con la battaglia di Ayacucho, nel 1824, dove eccelse Antonio Josè Sucre, il tenente di Simòn Bolivar. L’anno seguente la Bolivia venne formalmente dichiarata una repubblica.

Il territorio della Bolivia, che comprendeva oltre 2 milioni di Kmq è sempre stato oggetto delle brame delle popolazioni confinanti. Il desiderio del Cile di ingrandirsi causò la guerra del Pacifico, combattuta contro la Bolivia tra il 1879 e il 1884.

Il Cile ebbe la meglio e si impossessò di 850 Km di costa, incluso il Porto di Antofagasta, lasciando la Bolivia senza uno sbocco sul mare.

Poco dopo, Perù, Brasile e Argentina cominciarono a premere sulle frontiere della Bolivia.

Nel 1932 una disputa di confine con il Paraguay per il possesso  dei depositi di petrolio nella regione del Chaco si concluse con la perdita per la Bolivia di altro territorio. La guerra del Chaco (1932-1935) causò disordini tra la popolazione all’interno del paese, e favorì la creazione di associazioni riformiste, portando a una serie di colpi di stato da parte di militari solo in appartenenza riformisti.

Forse la svolta più significativa fu l’emergere del Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR). Nel 1951 l’MNR, guidato da Victor Paz Estenssoro, vinse le elezioni, ma fu ostacolato da un improvviso colpo di stato militare, che causò una rivolta armata popolare conosciuta come rivoluzione di aprile del 1952. I militari furono sconfitti e Paz Estenssoro andò per la prima volta al governo.

Nel 1964 una giunta militare con a capo il generale Renè Barrientos Ortuño rovesciò l’MNR. Seguì  una lunga serie di regimi militari fino all’elezione del Movimiento de la Izquierda Revolucionaria (MIR),partito di sinistra guidato da Hernàn Siles Zuazo, nel 1982. Tre anni dopo Zuazo fu sconfitto dall’MNR di Paz Estenssoro, il quale cercò di frenare l’inflazione, che aveva raggiunto livelli stratosferici  (fino al 35.000% annuo), e applicò misure assai rigide. L’attuale presidente della Bolivia è Evo Morales, in carica dal gennaio 2006.

Occhi dentro Occhi – associazione braccia aperte Onlus

Occhi dentro occhi e prova a dirmi se / un po’ mi riconosci o in fondo un altro c’è sulla faccia mia / che non pensi possa assomigliarmi un po’”. Parole dei Negramaro (Quel posto che non c’è), scelte perché sentite immediatamente e dolcemente consonanti, pienamente e poeticamente in armonia con gli “Amori boliviani”. L’eco che risuona ancora dentro è vibrante “emozione”. Come una cantilena. La stessa provata – quell’emozione di pancia, che non dimentichi facilmente e non cancelli, e soprattutto non controlli – quando ho avuto modo di fermarmi ad osservare – estraniato da tutto – le immagini della mostra La sonrisa de un niño.
Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.

Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.
L’associazione Braccia Aperte, in prima linea in questo splendido progetto di solidarietà internazionale che si chiama “Amori boliviani”, promosso dalla Cooperativa sociale Itaca e ora adottato anche da Folkest, ha iniziato nel 1995 proprio da qui. Dall’adozione da parte di sei famiglie (primo amore boliviano) di bambini abbandonati, orfani e soli. Quando un gruppo di amici, uniti da questa comune esperienza, ha deciso di costituirsi in associazione con il semplice intento di poter creare solidarietà nei confronti delle persone più deboli ed emarginate della Bolivia.

“Mani dentro mani e prova a stringere / tutto quello che non trovi / negli altri ma in me”. Sono tante le mani che in questi mesi hanno stretto gli “Amori boliviani”, a partire da quelle di Letterio Scopelliti, scrittore e giornalista, oltre che – prima di tutto – amico. Elettivo, di quelli che si scelgono, e che ti scelgono.
Mani, quelle di Letterio, che in 24 notti insonni guidate dal cuore hanno concepito oltre 26 mila parole, 2 mila frasi, 130 mila caratteri che costituiscono le 136 pagine di “Amori boliviani. Vola dove il cielo abbraccia la Madre Terra”, il suo ultimo lavoro edito da Bracciaaperte.it, il cui ricavato andrà direttamente al progetto Monteagudo per il completamento della costruzione di una scuola per i bambini orfani, abbandonati e soli della cittadina nel sud-est della Bolivia.
Mani che gli amici di Braccia Aperte stringono da 13 anni e che Letterio ha avuto il cuore (il coraggio e la generosità) di sfiorare, toccare, afferrare, stringere, ascoltare, comprendere. Mani alle quali ha dato voce con le sue parole. Perché è il cuore che governa il libro di Letterio Scopelliti.

“Potessi trattenere il fiato prima di parlare / avessi le parole quelle giuste per poterti raccontare”. Più volte inviato all’estero e in particolare in America, Australia, Russia, Europa e Balcani, Letterio Scopelliti ha viaggiato in Africa, Medio Oriente e America Latina. Giornalista, scrittore e saggista, di Letterio mi piace ricordare (per non citare I ragazzi della panchina, di metà anni ’80), “Manicomio addio. Storie di “matti”, chiude uno degli ospedali psichiatrici d’Italia (1997) e “Bosnia dimenticata, crimine di pace” (2003). Scopelliti ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi (Unicef), alcuni suoi libri sono diventati film o rappresentazioni teatrali.
Giornalista come pochi ne sono rimasti, di quelli che il territorio lo presidiano e lo fanno presidiare, Letterio è autore tanto lontano dai grandi circuiti commerciali tradizionali quanto sincero, appassionato, sensibile e professionale nelle sue indagini. Giornalista a tutto tondo, usa le parole scritte e le immagini fondendo con sapienza le une alle altre.
In “Amori boliviani” non adopera mani e cervello ma cuore, delicatezza e eleganza. Anche nel linguaggio. E utilizza le parole giuste per raccontare la Bolivia di ieri e quella di oggi. “Bambini”, dopo Bolivia, è la voce più diffusa nel libro. I bambini sono i veri protagonisti non solo del libro “Amori boliviani” e della mostra fotografica, ma dell’intero progetto adottato da Itaca e Folkest.
Le oltre 100 immagini de La sonrisa de un niño sono dello stesso Letterio e di Antonio Ferronato, coordinatore del progetto Monteagudo per Braccia Aperte. Volontario salesiano in Bolivia a 21 anni, Antonio è ambasciatore della Bolivia in Italia, spirito rivoluzionario autentico e generoso nel suo darsi agli altri, gratuitamente. La sua storia, e non solo la sua, è raccontata nel libro di Letterio.
I nostri occhi si rispecchiano, se sappiamo guardare oltre, negli occhi dei bambini boliviani. Occhi dentro occhi… – dicevamo all’inizio con i Negramaro – dentro ai quali, se vogliamo, come insegnano Letterio e Antonio, ci possiamo anche rispecchiare. Occhi che non parlano soltanto della condizione dell’infanzia in Bolivia, ma anche di noi.
Perché la fotografia è l’immagine di un’idea. Fotografare non è solo semplice e asettica riproduzione della realtà, ma anche dare una propria interpretazione del mondo che ci circonda. Cogliere un istante. E lasciare agli altri la visione soggettiva di un frammento di vita. In questo caso emozione pura. Che non sempre consente di “trattenere il fiato prima di pensare”.
E’ quell’emozione che ti sgorga da dentro, erompe come un fiume in piena, un’onda che scaturisce dall’intimo più intimo e che non pensavi di avere dentro. Tanto che dopo i fiotti sei costretto a riflettere sulla sua origine. E “bocca dentro bocca” non puoi “non chiederti perché”, perché tanto “tutto poi ritorna”.

Le parole scritte da Letterio, quelle condivise in questi mesi, le sue immagini e quelle di Antonio sono capaci di toccare corde profonde. Emozioni. Come quelle di un padre e un figlio, una madre e un figlio che si incontrano per la prima volta. Persone – in questo le parole dei Negramaro bene sintetizzano lo spirito di Braccia Aperte – una di fronte all’altra. Si guardano negli occhi, avvicinano le mani, si stringono, si riconoscono.

“Ognuno di noi da solo non vale niente” (…) per questo dovete “sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario”. (Ernesto “Che” Guevara nella Lettera ai figli)
I temi affrontati e indagati da Letterio Scopelliti nel suo libro, con ricchezza di voci e informazioni, sono ricchi e si intersecano. A partire dai numeri dell’infanzia boliviana, tragicamente dolorosi: come Letterio ricorda sono 1,6 milioni i bambini che lavorano (1/5 dei bambini tra 5-14 anni), 9 bambini su 10 sono maltrattati, 2 milioni sono i bambini che vivono sotto la soglia della povertà (il 20% della popolazione della Bolivia), il 35% dei bambini non viene pagato per il lavoro che comunque svolgono.
I numeri della Bolivia non sono da meno: il 60% della popolazione vive come meno di 2 dollari al giorno, il 70% vive sotto la soglia di povertà.
Un’eco che costringe il lettore ad affrontare il libro in religioso silenzio. Che pareggia con l’assenza di rumore della spesso affollata Bolivia, e si scontra con il frastuono incredibile, il brulichio, la musica, i canti e i balli della manifestazione annuale per la Vergine di Copacabana, la Santa Patrona della Bolivia.
Il ruolo della Chiesa, e dei Padri salesiani in particolare, in Bolivia si è rivelato fondamentale. A partire dal progetto Don Bosco, avviato 20 anni fa con la trasformazione degli orfanotrofi di Santa Cruz in case (Hogar) per bambini abbandonati, maltrattati e malati. I salesiani – come bene evidenzia Vittorio Pierobon, vice direttore del Gazzettino nella prefazione al libro di Letterio – sono i veri pilastri, la loro presenza capillare ha supplito alle colpevoli carenze di uno stato che non c’era. Grazie anche al ruolo dei volontari, altre figure fondamentali che hanno consentito alla Bolivia di rialzare la testa.
Tralascerò il come e perché Letterio sia arrivato fino in Bolivia, come non dirò nulla del matrimonio del giovane Antonio con Valeria, e del viaggio nel viaggio successivo. E, nemmeno dirò alcunché dell’assenza di spirito cooperativistico nelle cooperative boliviane, della speculazione sui lavoratori (spesso bambini), dei padri che sfruttano i figli.

San Ernesto de La Higuera. Ecco di lui avrei voluto dire di più. Scopelliti dedica un intero capitolo, l’ultimo, alla figura del guerrigliero, rivoluzionario e medico argentino assassinato in Bolivia nel 1967.
Letterio lo sa, ma dopo la descrizione del nonno dal poncho bianco non ho resistito e mi sono immerso. Volevo sapere, volevo vedere attraverso la sua lente, Che Guevara ed i suoi luoghi.
Tra sacro e profano, lo sguardo coglie una Bolivia sincretica, a migliaia di metri sulle Ande, restituendo oggi un quadro inedito e straordinariamente originale. La trasformazione di un mito, anche mediatico, in liturgia. E turismo. Sulla Ruta del Che, progetto del presidente Evo Morales, che prevede di costruire 800 chilometri di itinerari culturali, tra storia e ricordo.
In anteprima assoluta per Folkest, la mostra “La sonrisa de un niño” si è arricchita di altre 12 immagini straordinarie ed inedite come le precedenti 100. Si tratta de “La ventana del Che” (da un’idea dell’amico e collega Alberto Chicayban), con fotogrammi che ripercorrono le ultime tappe del Comandante Guevara: dalla lettera-testamento a la Higuera, Vallegrande, …

Occhi dentro occhi (…) Mani dentro mani (…) Bocca dentro bocca (…) Si cercano, si aspettano, si incontrano, si riconoscono. E iniziano un cammino insieme, per la vita. Una madre, un padre e un figlio abbracciati costruiscono una nuova famiglia, si accolgono, si raccontano, si scoprono e si guardano, giorno dopo giorno. Come gli amici di Braccia Aperte con i loro figli della Bolivia, come Antonio, e come Letterio che le “parole quelle giuste (…) quelle grandi” le ha trovate.

Fabio DELLA PIETRA

Braccia Aperte ONLUS secondo Vittorio Pierobon

Ho scoperto “Braccia Aperte ONLUS” quasi per caso. Il colpevole è uno “storico” amico della Boliva, dove ha lavorato, insegnato, e anche trovato moglie, e che io ho avuto modo di conoscere quando lavorava con me al Gazzettino. E’ lui che mi ha convinto a visitare la Bolivia, ed è stato in quell’occasione che mi sono imbattuto in Braccia Aperte.

Nel paese sudamericano ho avuto modo di conoscere la meravigliosa opera dei Missionari Salesiani, autentici pilastri della crescita socio-culturale della Bolivia; ho visitato le strutture finanziate da Braccia Aperte: l’Hogat de Dios a Saavedra; la Ludoteca a Santa Fe e ho preso visione del “Progetto Monteagudo” che all’epoca stava ancora crescendo.
Ho scoperto un mondo di generosità, in gran parte “made in Veneto”. Dalla Bolivia a Scandolara il passo è stato…breve. Partecipando ad alcuni incontri dell’Associazione ho conosciuto persone semplici e generose, gente genuina che si guadagna la vita spesso anche con sacrifici, ma che non si è chiusa nell’egoismo sempre più diffuso nella società in cui viviamo. Al contrario gli amici di Braccia Aperte trovano gioia e gratificazione nel donare agli altri. Molti di loro hanno avuto la forza di fare il dono più grande, quello di una famiglia, adottando bambini orfani, altri regalando tempo e denaro. Un concentrato di solidarietà che recupera il senso della vita. Si divertono e fanno del bene. una formula apparentemente semplice, ma ricca di contenuti. Tra i soci di Braccia Aperte c’è tanta umanità: ognuno di loro è il protagonista di una storia autentica che meriterebbe gli onori della cronaca. Ma purtroppo, e qui parlo da addetto ai lavori, al giorno d’oggi fa notizia ciò che non va: il negativo prevale sul positivo. Viviamo in un mondo in cui l’apparire conta più dell’essere, una velina è più famosa di un premio Nobel. Chi fa del bene non fa notizia. Non possiamo cambiare il mondo, però ognuno può fare la sua parte. I latini dicevano: “gutta cavat lapiden”, la goccia scava il marmo. E le gocce di generosità distillate da Braccia Aperte in questi dieci anni di attività hanno lasciato un segno profondo.

Vittorio Pierobon
vice-direttore del quotidiano “Il Gazzettino”

Viaggio in Bolivia – Associazione Braccia Aperte Onlus

Vola dove il cielo abbraccia la madre terra, la pachamama, così ha scritto Letterio sul libro dedicato alla Bolivia, a noi, ed a coloro che hanno la fortuna di leggerlo.

Ho volato in questo mondo che come sempre ti riempie di sensazioni e pensieri, di attese e aspettative che poi si sono concretizzate.

Volo con Alitalia (Venezia – Roma – S. Paolo) e Gol (S. Paolo – S. Cruz), 24 ore di viaggio tra cielo e terra. Finalmente arrivo a destino, siamo in tre, io Mauro e Mario, l’altra delegazione già da alcuni giorni si trova in Bolivia a Monteagudo.

E’ primavera, il che vuol dire caldo, molto caldo rispetto al clima autunnale che abbiamo lasciato in Italia. E’ il 23 ottobre.

Saluti ed abbracci con Milenka, Ivan ed i loro figli, una giovane famiglia del posto, nostri amici di lunga data nonché miei compari di battesimo. Ci attendono per condividere insieme gran parte della nostra permanenza di 15 giorni in Bolivia. Milenka è il nostro braccio operativo sul posto, è socia onoraria dell’Associazione, si interessa dell’acquisto di artigianato locale che poi rivendiamo in Italia. Inoltre segue la gestione burocratica inerente le nostre attività di solidarietà sul posto.

Usciamo dall’aeroporto di Viru Viru, si chiama così perché realizzato dai giapponesi alcuni decenni fa. Operazioni doganali abbastanza veloci, non come in Brasile dove la pignoleria non manca mai.

Via subito a Montero, cittadina di 100.000 abitanti a 70 chilometri da S. Cruz. Alloggiamo al Pinocho, un ottimo albergo, un po’ caro considerando la località, ma alla fine, per noi abituati a certi confort un toccasana. Sono le 18,00, Ivan e famiglia ci lasciano, abbiamo ancora alcune ore disponibili prima di coricarci per riposare dopo il lungo viaggio. Ci rechiamo subito dalle suore oblate salesiane di Montero per verificare lo stato di avanzamento della costruzione di un asilo che la Onlus amica, Dassi Maria Bianca di Treviso sostiene. Ci è stato chiesto di fare foto e prendere informazioni.

Il giorno successivo, in taxi, costo 3 euro per 15 chilometri andiamo a Saavedra, dove sorge l’Hogar de Dios, progetto realizzato dalla nostra Associazione e dove Antonio e Marisa originari di Treviso e Padova gestiscono questa opera in modo ammirevole. 42 bambini cerebrolesi ospitati, seguiti, assistiti e curati. Veramente meritevole il lavoro di questi due amici e volontari. Per il mantenimento dell’opera una fattoria ed un caseificio che inizia a produrre formaggi e derivati tra l’altro di ottima qualità. 42 giovani ospiti nel centro e 42 dipendenti impiegati tra personale infermieristico e campesinos.

Tutto si trasforma dentro di te quando fissi gli occhi di questi bambini, quando tendi una mano per una carezza. Cerchi di pensare, ti chiedi perché ma non sai darti una risposta e questo ti crea maggior sofferenza.

Giorno 25, partiamo per Monteagudo con un minibus chiamato Micro. Milenka lo ha noleggiato chissà dove, è il peggiore che abbia mai utilizzato durante le mie varie permanenze in Bolivia. Siamo un bel gruppo, noi tre, P. Longo, P. Corona, P. Iriarte, Josè Luis di La Paz, altro nostro amico e socio onorario boliviano, Milenka e la simpatica coppia Genny e Michele che da anni prestano la loro opera di educatori nel centro Mano Amiga di S. Cruz. Tanta allegria e condivisione durante il viaggio, 10 ore di Micro di cui 4 di asfalto e 6 di sterrato nelle Ande; un secco da giorni con una polvere che entra nel mezzo da qualsiasi parte senza tener conto che due finestrini non si chiudono. Chi con fazzoletti umidi sulla bocca, chi con continui spostamenti alla ricerca di un po’ di aria pulita. Finalmente alle 20,00 della sera si arriva a Monteagudo dove gli altri italiani ci attendono. Saluti, convenevoli, cena e doccia. Dalla mattina seguente tre giorni di incontri culminati con l’inaugurazione del terzo blocco e definitiva consegna dell’opera da noi realizzata alle suore Mariane, si tratta di un complesso scolastico per 900 studenti. Presenze di autorità civili e religiose, pranzi e cene, manifestazioni con costumi tipici ufficializzano ed allietano la nostra permanenza in Monteagudo. Un grande regalo quasi inaspettato ci viene concesso dal Rettore dell’Università Salesiana di La Paz P. Corona: la firma della convenzione per corsi universitari in questa scuola.

Il quinto giorno si riparte per S. Cruz, ancora lo stesso Micro del viaggio di andata ad attenderci, per affrontare l’avventura del ritorno verso la pianura amazzonica. Ancora polvere e disagio.

Pernottamento a S. Cruz, Hotel Italia a due passi dalla piazza centrale 24 settembre, città con una popolazione di circa un milione e settecento mila abitanti, la più popolata della Bolivia. Buona occasione per effettuare cambio valuta da euro a boliviani, per un euro otto boliviani e settanta centesimi. In un angolo della piazza si trovano i cambisti, bisogna fare molta attenzione quando contano i soldi, immancabilmente tentano di imbrogliarti, anche nei nostri confronti questo tentativo. Milenka arrabbiatissima riprende l’uomo apostrofandolo, dicendo lui: che bella immagine danno i boliviani nei confronti dello straniero.

Mattina del primo novembre, in aeroporto a Viru Viru e volo con la nuova compagnia aerea Amazones, nata di recente dopo il fallimento dell’Aerosur e concorrente con la compagnia di bandiera Boa voluta dal Presidente Evo Morales. Andiamo a El Alto di La Paz. Il nome dell’aeroporto dice tutto, siamo a 4000 metri di altitudine e la città, capitale più alta del mondo si sviluppa su di un imbuto che scende fino ai 3700 metri. Manca l’ossigeno e si cammina lentamente sempre con il fiatone. Il corpo si sente strano, dicono che servano almeno tre giorni per prendere l’altitudine. E’ una giornata piovosa e fredda ma dobbiamo rispettare i nostri programmi, pertanto subito all’Università di La Paz dal rettore P. Corona e poi nella Calle dell’artigianato a fianco dell’antica cattedrale di S. Francesco realizzata nel 1581. La sera un invito a cena inaspettato da Josè Luis, il nostro caro amico di La Paz. Un appartamento carino dove l’accoglienza ed il calore della moglie Alison e del figlio Thelian ci rende la serata piacevole.

2 novembre, con un Micro tutto il gruppo in viaggio nell’altopiano di El Alto che i quecha chiamavano terra del cielo, tre ore di strada su di una quasi pianura situata a 4000 metri, giungiamo al lago Titicaca che si estende tra Bolivia e Perù. Dicono i boliviani che la parte loro è il titi e la parte peruviana è il caca, non serve commento. Raggiungiamo Ancoraimes un paese dove la miseria e la povertà regnano. Siamo come detto il 2 novembre giorno dei morti, nel centro grande festa con balli canti e soprattutto alcol, gente ubriaca dalla mattina, rubiamo qualche foto, ma attenzione perché se si accorgono passiamo guai. In questo paese necessita un intervento a favore dei bambini, ci accompagna il vescovo di El Alto Mons. Bascopè proponendoci un progetto di cooperazione.

Con il ritorno a La Paz termina la nostra presenza in questa capitale che ha circa 800.000 abitanti. La stessa sera siamo nuovamente a S. Cruz con i suoi 30 gradi serali di temperatura.

Finalmente il 3 novembre un po’ di riposo, passeggiate e visite turistiche nei dintorni di Montero. La sera cena a S. Cruz con Michele, Genny, Milenka e le sue sorelle in un bellissimo locale all’aperto: La casa dei Camba. Il Camba è l’etnia della parte orientale della Bolivia, mentre il Collas è di quella occidentale, andina. Fisionomie diverse, lineamenti marcati per i Collas mentre più indio europei per i Camba. Menù tipico tendenzialmente piccante con carne di tutti i generi, Juca ed altri tuberi. Si beve buona birra, la Huari e la Pacena.I camerieri con il classico abito bianco e fascia verde, il colore dei Cruzeni.

Giorno 4 novembre, la sveglia di mattina presto alle ore 5,00, in Micro con tutto il gruppo di italiani con destinazione il Divino Nino, dopo S. Carlos lungo la strada per Cochabamba. Qui P. Carlo Longo missionario salesiano originario di Trebaseleghe Padova è responsabile del santuario dedicato al Divino Bambino, ogni prima domenica del mese migliaia di persone si recano alle celebrazioni per ricevere grazie e benedizioni, provengono dalle zone più disparate della Bolivia. Da S. Cruz alle 4 del mattino partono bus carichi di fedeli per questa località. Partecipiamo alla messa delle 7,30 occasionalmente celebrata da Mons. Tito Solari arcivescovo di Cochabamba, originario di Udine. Migliaia i presenti all’interno ed esterno della chiesa. Per me un momento importante, sono il padrino di Sebastian, il figlio di Ivan e Milenka che riceve il battesimo proprio in questa celebrazione. Terminata la messa si attende P. Carlo impegnato a benedire tutti e di tutto con un ramoscello e tanta acqua santa da dispensare, persone, oggetti, auto, motori, Micro. Alle ore 13,00 pranzo a S. Carlos a base di pesce di fiume, anche qui in un piacevole locale all’aperto dove la natura ti abbraccia con la sua caratteristica flora.

Verso le ore 16,00 nuovamente una visita all’Hogar de Dios con tutto il gruppo, Antonio ci attende e accompagna all’interno del centro, ci racconta di lui e di sua moglie, dei ragazzi e dell’opera, della Bolivia. Il suo sorriso è l’espressione del bene che vuole ai suoi ragazzi. Il suo sorriso ci toglie imbarazzi e ci permette di trascorrere questi momenti con maggiore serenità.

L’imbrunire della giornata segna anche l’imbrunire del nostro viaggio in Bolivia, il giorno successivo alle 12.50 si parte per l’Italia. Altre 24 ore di viaggio con Gol e Air France via Parigi.

Ancora una volta torniamo ricchi, la Bolivia, la sua gente, i nostri missionari e volontari custodiscono un grande tesoro che condividono con noi e quanti si recano dove il cielo abbraccia la madre terra.

Tesoro di umanità e fratellanza.

Sergio Bonato

Mercatini ed Attività

Durante vari momenti dell’anno allestiamo il nostro stand in molteplici piazze, preferibilmente in occasione di festeggiamenti patronali del paese ospitante, per l’esposizione di prodotti artigianali boliviani, per la cui cessione si fa richiesta di una contribuzione economica. In diversi periodi dell’anno siamo presenti, sempre con il nostro stand all’interno dell’Ipermercato “I Giardini del Sole” di Castelfranco Veneto (TV).

Anche in provincia di Varese vengono proposti i nostri progetti attraverso attività commerciali quali i mercatini di artigianato boliviano.

Due sono le feste sociali di solidarietà che teniamo durante l’anno solare, generalmente l’ultima domenica di maggio e la prima domenica di ottobre. In questa seconda manifestazione si organizza un quadrangolare di calcio tra particolari formazioni, in questi anni si sono susseguite le compagini dei Carabinieri, della nostra Associazione, dei dipendenti comunali di Zero Branco, dei Vigili del Fuoco di Treviso, dei Camionisti di Vittorio Veneto, dell’Azienda Fiorini Omnia Service, dei Capi Treno di Venezia Mestre, dei Veterani del Montello. Una grande presenza di sostenitori nostri e loro permettono così una buona raccolta fondi.

Altri importanti iniziative riguardano il periodo pasquale dove i nostri soci sono impegnati nella vendita di uova pasquali.

Avvicinati e contattaci!!

Sarà piacevole conoscerti e farci conoscere!

Progetto umanitario centro sanitario

PRECEDENTI

La zona Sud di Cochabamba si caratterizza per la sua segregazione ed emarginazione socio-economica relativa allo spazio metropolitano nel suo insieme. La sua popolazione è nettamente migrante dei dipartimenti di Oruro, Potosì, La Paz, Sucre e di alcune province del dipartimento di Cochabamba. Questi spostamenti migratori hanno creato e popolato nuove comunità, si incontrano diverse fasi di consolidazione comunitaria in base al quartiere. In questo modo esiste in queste zone una confluenza di diversi processi migratori con caratteristiche che ancora non sono state sistematizzate.

Queste nuove comunità non hanno l’appoggio delle istituzioni pubbliche, la gente costruisce la propria comunità che rimane al margine della politica di sviluppo comunale o dipartimentale.

Gli abitanti dei distretti della zona Sud son quelli che meno hanno accesso ai servizi di educazione, salute e altri servizi.

Il Comune di Arbieto, fino a pochi anni fa era una zona agricola, però con la costante migrazione si sono accelerati i cambiamenti nel processo di Urbanizzazione del Distretto 4, il quale si manifesta con l’apparizione di nuove comunità, rappresentate da una popolazione prevista di 11.000 abitanti per l’anno 2010 (secondo l’INE), con una densità demografica di 66,55 abitanti per km quadrato. Le lingue principali sono il “quechua” e il castigliano con un 23% e un 70% rispettivamente. (Secondo i dati preliminari dell’ultimo censimento del 2012 la popolazione è cresciuta approssimativamente di 18.000 abitanti).

Il Territorio Parrocchiale comprende il Settore di Llave Mayu, ubicato nel Comune di Arbieto, Terza Sezione della Provincia Esteban Arze, a Sud-Est della città di Cochabamba , le comunità che comprendono il Settore

Parrocchiale del Llave Mayu sono: Mineros San Juan II, Canelas I, Canelas II, Llave Mayu I, Llave Mayu II, Florida, Alto Litoral, La Tranca.

La maggior parte delle famiglie non ha la documentazione che garantisce il diritto di proprietà, per questo motivo si cerca di rafforzare con tutti i mezzi possibili e le autorità giudiziarie dello Stato della propria legge il diritto di proprietà.

E’ un luogo trascurato e abbastanza distante, non ci sono mezzi di trasporto che facilitino lo sviluppo della popolazione.

Attraverso le visite alle famiglie, si è osservato che le condizioni di vita sono abbastanza brutte, non si hanno i servizi basici, specialmente acqua e fognature. La grande quantità di case riflette le brutte condizioni di salute alle quali sono esposti i suoi abitanti con seri rischi di malattie o nel peggior caso di morte.

Per quanto riguarda il lavoro, la maggioranza degli uomini fa il muratore, alcuni l’autista o il lavoratore occasionale e le entrate economiche sono minime. Le donne si dedicano a lavori informali come venditrici ambulanti, lavandaie, aiutanti in cucina e lavori che permettano loro di guadagnare per sostenere la famiglia.

I problemi che prevalgono sono: la denutrizione infantile, la mancanza di assistenza medica, le aggressioni fisiche e psicologiche, i problemi di alcolismo, l’ignoranza per quanto riguarda la prevenzione delle malattie, la scarsa pianificazione familiare, si hanno in media 7 figli per famiglia.

Il tasso di fecondità è uno dei più alti del paese con una media di 7 figli per donna in età fertile, un elevato tasso di disoccupazione, un livello di educazione generalmente molto basso e con problemi di analfabetismo, problemi di mal nutrizione e di salute in generale, la maggioranza delle famiglie è priva di risorse e vive in condizioni precarie.

Non esiste un centro sanitario che presti servizi alla comunità, per tanto la maggioranza della popolazione con qualche malattia o dolore deve spostarsi nei comuni più vicini al dipartimento e questo implica costi maggiori, perdita di molto tempo e mancanza di interesse in questi centri medici.

 

SITUAZIONE SANITARIA

Una delle priorità del nostro lavoro è la salute delle persone, le malattie sono aumentate a causa delle condizioni inadeguate delle famiglie.

Le malattie riscontrate durante le visite domiciliari attraverso inchieste ed interviste sono state:

Malattie più comuni:

·         IRAS < di 5 anni (infezioni respiratorie acute)

·         EDAS < di 5 anni (malattie diarroiche acute)

·         IRAS < di 5 anni

Malattie Croniche:

·         Artriti Reumatoidi

·         Lombosciatalgia

·         HTA (Ipertensione Arteriale)

·         Tripanosomiasi

·         Denutrizione Cronica

·         Patologie Digestive

·         Malattie Croniche e degenerative (cancro)

Problemi di salute:

·         Problemi dentali

·         Malattie infettive (es. Epatiti, tubercolosi…)

·         Malattie Polmonari

·         Malattie a trasmissione sessuale (VIH/SIDA)

·         Gravidanza nell’adolescenza

·         Abuso infantile/negligenza

·         Stupri/Aggressioni sessuali

·         Violenze familiari

·         Problemi di vecchiaia (artrite, perdita della vista e dell’udito…)

Il territorio parrocchiale non ha alcun ospedale dove la popolazione possa essere assistita, tuttavia esiste un centro di salute privato abbastanza distante da queste popolazioni menzionate.

Il 37% della popolazione si reca nei centri di salute più vicini.

Il 21% decide di recarsi nelle farmacie per alleviare il dolore, nel territorio esistono solo 3 farmacie particolari.

Il 21% decide di auto curarsi attraverso la medicina naturale domestica e tradizionale.

L’11% di questa popolazione decide di recarsi all’ospedale Viedma quando c’è un’emergenza o non ci sono specialisti nei centri di salute vicini.

E il 10% si reca nei centri di salute particolari ubicati nella città.

OBIETTIVI

OBIETTIVO GENERALE

Ottenere l’interesse nei confronti della prevenzione e delle cure promuovendo l’attenzione alla salute e alla prevenzione delle malattie in maniera adeguata ed efficiente, realizzando consulenze interne ed esterne, colloqui e laboratori che inculchino nelle persone l’importanza della cura della salute, cercando di conseguire il benessere e una miglior qualità della vita.

OBIETTIVI SPECIFICI

·         Costruzione del Centro Sanitario nel Llave Mayu

·         Implementazione del Centro Sanitario nel Llave Mayu

·         Conformare l’equipe medico incaricato al Centro Sanitario nel Llave Mayu

·         Attenzione continua nella consulenza medica

·         Partecipazione ed organizzazione delle attività educativo-preventive di salute

·         Visite domiciliari e accompagnamento medico

·         Pianificazioni periodiche (mensili, trimestrali e annuali) con l’equipe medica

·         Ottenere la collaborazione di diverse istituzioni sia pubbliche che private, governative e non, legate alla cura della salute

·         Offrire spazio d’intercambio di esperienze, attraverso la promozione del volontariato

 

GIUSTIFICAZIONE

·         La salute è un diritto senza esclusione alcuna, lo Stato non ha prestato servizi in questo territorio, la domanda di servizi di salute incrementa dato i processi demografici, il quadro delle malattie si trasforma e si evolve verso alcune malattie che sono più costose da curare.

·         Il progetto è giustificato dal fatto che si considera una popolazione obiettivo con più di 25000 abitanti, tra i quali per lo meno una persona di ogni famiglia ha problemi di salute, le malattie colpiscono bambini e adulti.

·         Il progetto risponde alla necessità che si ha nell’ambito della salute preventiva e curativa, cercando di migliorare la qualità della vita delle persone

·         Il progetto cerca di dare maggior enfasi nel servizio alla salute in maniera solidale, con l’accompagnamento continuo attraverso le visite e con la coordinazione dell’equipe medica e con gli assistenti sociali.

·         La mancanza di conoscenze delle malattie è allarmante, è per questo che l’equipe di professionisti sanitari realizzerà laboratori che permettano di prevenire alcune malattie, sensibilizzando le popolazioni vicine all’importanza della cura della propria salute

·         Un altro fattore che affligge la cura della salute delle persone è il costo elevato dei servizi sanitari, le medicine e i trattamenti medici. Per questo molte persone preferiscono non fare niente per la propria salute.

·         Per i fondi contiamo nell’impegno della comunità per la manodopera

·         E’ importante comunicare che quando si hanno dei casi estremi, si realizza un accompagnamento congiunto (medico-sociale) negli ospedali, cercando di ridurre i costi di chirurgia complessi e costosi, i quali sono coperti per le famiglie e con il contributo della popolazione in accordo con le proprie possibilità.

·         La Parrocchia si responsabilizzerà del buon funzionamento di questo Centro Sanitario, cercando la coordinazione con l’equipe medica e le autorità del comune.

 

BENEFICIARI DEL PROGETTO

Beneficiari diretti:

·         Circa dai 1000 ai 1500 bambini e bambine e giovani in età scolare che non hanno le risorse economiche necessarie per curare e prevenire la salute, che frequentano il Centro Sanitario per essere assistiti nei loro problemi di salute: malattie croniche, malattie comuni, problemi dentali.

·         Circa dai 500 ai 1000 adulti che non hanno le risorse necessarie per essere assistiti nei centri di salute e ospedali.

Beneficiari indiretti:

·         La popolazione generale del Territorio Parrocchiale nel suo insieme, coloro che vedono il Centro Sanitario come un referente per l’attenzione alla salute.

ATTIVITA

L’attenzione alla salute che viene offerta comprende in tutto tre livelli: attenzione medica, promozione della salute e attenzione integrale odontoiatrica. Malgrado ciò è necessario chiarire che il progetto risponde specificatamente alle necessità mediche preventive e curative.

Pertanto le attività che si realizzeranno a partire dall’implementazione di questa Centro Sanitario, considerando una base di 5 anni, sono:

·         Consulenze esterne, attenzione medica ai sintomi o malesseri generali, attraverso l’attenzione primaria (prevenzione e promozione della salute nel Centro e attraverso le visite a domicilio)

·         Attenzione alle urgenze, cure, suture, situazioni di urgenza

·         Controlli prenatali con attenzione al binomio mamma-bambino, controllo del bambino sano, vaccini

·         Esami cito-vaginali, PAP-test

·         Orientamento attraverso colloqui e laboratori in merito alla gravidanza nell’adolescenza, alla sessualità, alla violenza familiare, al maltrattamento infantile, alla pianificazione familiare e altri temi di interesse per genitori e adolescenti.

·         Programma di laboratori per la salute preventiva (pianificazione familiare, prevenzione del cancro della cervice uterina, mammografia e altro)

·         Educazione sanitaria e promozione della salute e della nutrizione.

·         Prevenzione e Controllo di malattie endemiche locali

·         Somministrazione delle medicine basiche

 

MATERIALE NECESSARIO

Si richiedono l’attrezzatura e gli strumenti basici, il materiale medico essenziale, fondamentalmente di misurazione e controllo, per le sofferenze più comuni della popolazione.

Malgrado ciò è importante indicare che non possiamo contare su proprie infrastrutture adeguate per l’attenzione medica base, per la quale si richiede un’infrastruttura come il centro sanitario.

Nell’ambito preventivo, si richiede materiale di lavoro per i colloqui, i laboratori…

Nell’ambito curativo, si necessitano strumenti, medicine, materiale necessario alle cure.

·         Stetoscopio di Pinard o Ecoson, Tensiometro, Citobrus, Spray fissativi, speculum vaginali, vetrine portaoggetti, spatole d’aria, guanti chirurgici, strumenti di cura, strumenti di sutura, anestetici, strumenti di infusione e soluzioni.

·         Sedie a rotelle, barelle, stampelle, contenitori metallici, glucometri

·         Mobilia (tavoli, sedie, mobili da ufficio…)

·         Materiale da ufficio per i colloqui e i laboratori (fogli, segnalibri, cartoni…)

·         Materiale di pulizia

 

RISORSE UMANE NECESSARIE

Con le visite e l’accompagnamento ai malati, abbiamo potuto verificare che l’indice di malattie è aumentato, tra le più frequenti abbiamo: malattie infettive, malattie a trasmissione sessuale, malattie croniche e degenerative, malattie diarroiche. Così anche la mortalità è aumentata a causa di queste malattie.

Si richiede un minimo equipe medica comprensivo di professionisti che assistano tutta la popolazione costituito da un medico generale, un’infermiera, un’odontoiatra e un operatore sociale che lavorino tutta la settimana nel Centro Sanitario per assistere la popolazione bisognosa ed uno sviluppo dove le necessità ed il monitoraggio della salute medico-preventiva sono urgenti.

RAGIONI PER LA NECESSITA’ DELLA COSTRUZIONE

Il nuovo Territorio Parrocchiale di Santa Maria del Camino non può contare su nessun tipo di infrastruttura adeguata nel settore del Llave Mayu.

Il Settore di Llave Mayu è costituito dalle OTBS. Llave Mayu II, Mineros San Juan II, Juntas Vecinales Florida, Alto Litoral, Canelas, il quale richiede una presenza pastorale per assistere più di 300 famiglie.

Attualmente contiamo su un piccolo posto dove riuniamo tutte le nostre attività. Si richiedono le condizioni per assistere questa popolazione.

Le principali attività che si svilupperanno nel Settore di Llave Mayu sono:

·         Catechesi di prima comunione e di cresima con bambini e giovani

·         Accompagnamento del gruppo di Mink’as

·         Riunione dei genitori di famiglia di catechesi

·         Celebrazioni nelle case: per i defunti, benedizioni, devozioni ai santi o alla Vergine.

·         Eucarestia domenicale e settimanale

·         Visite alle famiglie

·         Appoggio alle famiglie bisognose di buona salute

 

RISULTATI SPERATI

·         Circa più di 15 Comunità e più di 20 Giunte Comunali potranno beneficiare del Centro Sanitario

·         Diminuzione degli indici di malattie comuni e croniche

·         Diminuzione degli indici di mortalità infantile

·         I problemi di salute verranno assistiti in tempo, conseguendo un’attenzione efficiente qualitativamente ed affettuosa alla popolazione beneficiaria.

·         Sensibilizzazione nella prevenzione di diverse malattie, attraverso i colloqui, i laboratori, gli incontri, le visite…

·         Le valutazioni realizzate permetteranno di sviluppare un lavoro coordinato dell’equipe medica, cercando l’efficacia del servizio sanitario.

·         Le autorità sanitarie del comune potranno contribuire ottenendo alcuni benefici di salute per le madri gestanti e i bambini appena nati.

·         La qualità della vita delle famiglia migliorerà

PRESUPPOSTO DELLA COSTRUZIONE

PRESUPPOSTO GENERALE

(Espresso in Dollari Americani)

 

PROGETTO: CENTRO SANITARIO – OPERA –  

PARROCCHIA: SANTA MARIA DEL CAMINO

LUOGO: LLAVE MAYU

AMMONTARE: 50.000 USD

T/C: 6,96

ARTICOLI

DESCRIZIONE

UNITA’

QUANTITA’

PREZZO UNITARIO

PREZZO TOTALE

1

Pavimento in Ceramica Nazionale

M2

288,00

23,00

6.624,00

2

Plinto in Ceramica Nazionale

ML

160,00

6,50

1.040,00

3

Rivestimento in Ceramica Nazionale

M2

68,00

23,00

1.564,00

4

Rintonacatura interiore muro gesso

M2

795,00

9,00

7.155,00

5

Rintonacatura esteriore miscela di cemento

M2

290,00

12,00

3.480,00

6

Finestre di Alluminio – Linea 25

M2

70,00

95,00

6.650,00

7

Cornice e Porte in 2×4”

ML

156,00

20,00

3.120,00

8

Porte e tavole in 1 1/2” e 2”

M2

50,00

100,00

5.000,00

9

Chincaglierie, Lamiere e Cardini

GL

1,00

1.330,00

1.330,00

10

Serbatoio bianco basso inodore

PZA

3,00

91,00

273,00

11

Lavamani con piedistallo

PZA

4,00

75,00

300,00

12

Lavapiatti doppio lavello e banco

PZA

1,00

300,00

300,00

13

Ringhiera metallica gradini e balconi

ML

48,00

50,00

2.400,00

14

Punti di illuminazione incandescente

PTO

32,00

31,00

992,00

15

Prese di corrente

PTO

52,00

21,00

1.092,00

16

Tubi di scarico fognatura PVC 2” e 4”

ML

40,00

18,00

720,00

17

Installazione di acqua potabile 3/4” e 1/2”

ML

80,00

15,00

1.200,00

18

Pittura interiore ed esteriore lattice

M2

2.200,00

2,80

6.160,00

19

Installazione del contatore della luce

PZA

1,00

150,00

150,00

20

Costruzione di celle di ispezione

PZA

5,00

90,00

450,00

TOTALE: OPERA

50.000,00

 

PIANI DI COSTRUZIONE

RISORSE ECONOMICHE PER L’IMPLEMENTAZIONE DEL CENTRO SANITARIO – EQUIPE MEDICA E MOBILIA (Espresso in DOLLARI AMERICANI)

ARTICOLI

COSTO MENSILE

COSTO ANNUALE

Salario medico tempo completo

362

4.348

Salario infermiera tempo completo

290

3.478

Salario odontoiatra tempo completo

362

4.348

Mobilia (tavoli, sedie, mobili da ufficio)

1.449

Materiale da ufficio (fogli, carta, evidenziatori…)

43

522

Attrezzatura e materiale (antisettici, guanti, spatole, vetrine portaoggetti…)

72

870

Medicine

145

1.739

Rifornimenti (acqua, energia elettrica, telefono, raccolta della spazzatura…)

43

522

Materiale di pulizia

29

348

TOTALI IN DOLLARI AMERICANI

1.319

17.275

MAPPA DI UBICAZIONE

mappa

Progetto umanitario mensa bambini poveri

OBIETTIVO E BENEFICIARI

Il progetto “Mensa Bambini Poveri” è stato studiato e sviluppato, dalla nostra Associazione, in collaborazione con Padre Ottavio Sabbadin, missionario in Bolivia e originario della Provincia di Treviso, in accordo con le Istituzioni pubbliche locali.

Consiste nella realizzazione di una mensa poli funzionale che possa soddisfare le necessità alimentari di bambini / giovani disadattati e di strada e come servizio di sostegno e garanzia alimentare alle opere missionarie di Santa Cruz (Hogar Don Bosco, Techo Pinardi, Patio Don Bosco, Granja Moglia, Mano Amiga, Barrio Juvenil e Casa Miguel Magone).

progetto umanitario-mensa ragazzi di-strada pianta
DESTINAZIONE

Il progetto Mensa Bambini Poveri prende sviluppo in una area di proprietà delle Istituzioni religiose boliviane. La cittadina di riferimento è S. Cruz nell’ omonimo dipartimento in Bolivia. A coordinare l’intervento e poi attivare il centro sarà Padre Ottavio Sabbadin.

progetto umanitario-mensa ragazzi di-strada mappa
Supervisori per questo progetto saranno Padre Thelian Argeo Corona Cortes attuale rettore dell’università di La Paz ed il Cav. Antonio Ferronato volontario di Mogliano Veneto.

INTERVENTI

Realizzazione di una struttura edilizia.

progetto umanitario-mensa ragazzi di-strada casa

TEMPI DI REALIZZAZIONE

Inizio primavera 2013, fine lavori anno 2014 con conseguente attivazione della mensa poli funzionale.

COSTI

L’intervento complessivo comporta un preventivo di spesa di 30.000,00 euro.

IMPEGNO ASSOCIATIVO

I tempi di realizzazione potranno variare da quelli sopra esposti a seconda delle possibilità economiche dell’Associazione che si rende garante in questa operazione. Molto dipenderà dalla partecipazione delle comunità locali, dalle parrocchie, dalle Istituzioni pubbliche italiane e quelle Boliviane.