Incontro con Mauro Corona e Vittorio Pierobon

Madre Terra fonte della vita
incontro con Mauro Corona
e Vittorio Pierobon
  
L’evento sabato 29 ottobre 2016, alle 21, nell’auditorium comunale “G.Comisso”
di via Guidini 52, Zero Branco (Treviso). L’ingresso libero fino ad esaurimento posti. I proventi delle offerte saranno destinati al completamento di un presidio sanitario a 4mila metri di altitudine, El Alto, tra le Ande boliviane. L’evento è stato organizzato dall’associazione Braccia Aperte Onlus in collaborazione con il Comune di Zero Branco.
 
Mauro Corona, scrittore, alpinista, scultore, e Vittorio Pierobon, vice direttore del quotidiano Il Gazzettino, affronteranno il tema de “La Madre Terra”. I nativi dell’America Latina la chiamano Pachamama. E in particolare in Bolivia dove l’associazione di Zero Branco, da molti anni, realizza progetti e strutture nel campo socio-sanitario, dell’istruzione e della didattica. Pachamama è la dea terra e della fertilità. Alla Madre Terra vengono a tutt’oggi, fatte offerte perchè il terreno possa propiziare il raccolto. Una riflessione aperta con Mauro Corona, figlio delle Alpi, con i progetti di solidarietà che si stanno realizzando nelle Ande. Tante le domande in cerca di risposte. Come è cambiato il nostro rapporto con la natura? Con il passare degli anni, il divario tra Madre Terra e progresso ha continuato ad accentuarsi sempre più e il rapporto tra l’essere umano e la natura si è definitivamente spezzato. Oggi abbiamo oramai reso artificiale tutto ciò che ci circonda e, in nome del progresso, stiamo distruggendo il nostro pianeta. Ma la natura è madre. E la Madre Terra è fonte della vita, del nutrimento e dell’apprendimento.
 L’associazione Braccia Aperte Onlus si occupa di aiutare le fasce più deboli della Bolivia con missioni umanitarie e ponti concreti di solidarietà dall’Italia e, in particolare, dal Veneto (www.bracciaperte.it – 338.5702070).
 press / Sergio Bonato 349.4623001

Occhi dentro Occhi – associazione braccia aperte Onlus

Occhi dentro occhi e prova a dirmi se / un po’ mi riconosci o in fondo un altro c’è sulla faccia mia / che non pensi possa assomigliarmi un po’”. Parole dei Negramaro (Quel posto che non c’è), scelte perché sentite immediatamente e dolcemente consonanti, pienamente e poeticamente in armonia con gli “Amori boliviani”. L’eco che risuona ancora dentro è vibrante “emozione”. Come una cantilena. La stessa provata – quell’emozione di pancia, che non dimentichi facilmente e non cancelli, e soprattutto non controlli – quando ho avuto modo di fermarmi ad osservare – estraniato da tutto – le immagini della mostra La sonrisa de un niño.
Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.

Lasciandomi avvolgere senza opporre resistenza. E partecipando, di getto e da dentro, alle parole interiori poi sgorgate da quegli occhi e da quella pancia. Immaginandole rivolte da un padre o una madre a un figlio o a una figlia. Arrivato grande.
L’associazione Braccia Aperte, in prima linea in questo splendido progetto di solidarietà internazionale che si chiama “Amori boliviani”, promosso dalla Cooperativa sociale Itaca e ora adottato anche da Folkest, ha iniziato nel 1995 proprio da qui. Dall’adozione da parte di sei famiglie (primo amore boliviano) di bambini abbandonati, orfani e soli. Quando un gruppo di amici, uniti da questa comune esperienza, ha deciso di costituirsi in associazione con il semplice intento di poter creare solidarietà nei confronti delle persone più deboli ed emarginate della Bolivia.

“Mani dentro mani e prova a stringere / tutto quello che non trovi / negli altri ma in me”. Sono tante le mani che in questi mesi hanno stretto gli “Amori boliviani”, a partire da quelle di Letterio Scopelliti, scrittore e giornalista, oltre che – prima di tutto – amico. Elettivo, di quelli che si scelgono, e che ti scelgono.
Mani, quelle di Letterio, che in 24 notti insonni guidate dal cuore hanno concepito oltre 26 mila parole, 2 mila frasi, 130 mila caratteri che costituiscono le 136 pagine di “Amori boliviani. Vola dove il cielo abbraccia la Madre Terra”, il suo ultimo lavoro edito da Bracciaaperte.it, il cui ricavato andrà direttamente al progetto Monteagudo per il completamento della costruzione di una scuola per i bambini orfani, abbandonati e soli della cittadina nel sud-est della Bolivia.
Mani che gli amici di Braccia Aperte stringono da 13 anni e che Letterio ha avuto il cuore (il coraggio e la generosità) di sfiorare, toccare, afferrare, stringere, ascoltare, comprendere. Mani alle quali ha dato voce con le sue parole. Perché è il cuore che governa il libro di Letterio Scopelliti.

“Potessi trattenere il fiato prima di parlare / avessi le parole quelle giuste per poterti raccontare”. Più volte inviato all’estero e in particolare in America, Australia, Russia, Europa e Balcani, Letterio Scopelliti ha viaggiato in Africa, Medio Oriente e America Latina. Giornalista, scrittore e saggista, di Letterio mi piace ricordare (per non citare I ragazzi della panchina, di metà anni ’80), “Manicomio addio. Storie di “matti”, chiude uno degli ospedali psichiatrici d’Italia (1997) e “Bosnia dimenticata, crimine di pace” (2003). Scopelliti ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi (Unicef), alcuni suoi libri sono diventati film o rappresentazioni teatrali.
Giornalista come pochi ne sono rimasti, di quelli che il territorio lo presidiano e lo fanno presidiare, Letterio è autore tanto lontano dai grandi circuiti commerciali tradizionali quanto sincero, appassionato, sensibile e professionale nelle sue indagini. Giornalista a tutto tondo, usa le parole scritte e le immagini fondendo con sapienza le une alle altre.
In “Amori boliviani” non adopera mani e cervello ma cuore, delicatezza e eleganza. Anche nel linguaggio. E utilizza le parole giuste per raccontare la Bolivia di ieri e quella di oggi. “Bambini”, dopo Bolivia, è la voce più diffusa nel libro. I bambini sono i veri protagonisti non solo del libro “Amori boliviani” e della mostra fotografica, ma dell’intero progetto adottato da Itaca e Folkest.
Le oltre 100 immagini de La sonrisa de un niño sono dello stesso Letterio e di Antonio Ferronato, coordinatore del progetto Monteagudo per Braccia Aperte. Volontario salesiano in Bolivia a 21 anni, Antonio è ambasciatore della Bolivia in Italia, spirito rivoluzionario autentico e generoso nel suo darsi agli altri, gratuitamente. La sua storia, e non solo la sua, è raccontata nel libro di Letterio.
I nostri occhi si rispecchiano, se sappiamo guardare oltre, negli occhi dei bambini boliviani. Occhi dentro occhi… – dicevamo all’inizio con i Negramaro – dentro ai quali, se vogliamo, come insegnano Letterio e Antonio, ci possiamo anche rispecchiare. Occhi che non parlano soltanto della condizione dell’infanzia in Bolivia, ma anche di noi.
Perché la fotografia è l’immagine di un’idea. Fotografare non è solo semplice e asettica riproduzione della realtà, ma anche dare una propria interpretazione del mondo che ci circonda. Cogliere un istante. E lasciare agli altri la visione soggettiva di un frammento di vita. In questo caso emozione pura. Che non sempre consente di “trattenere il fiato prima di pensare”.
E’ quell’emozione che ti sgorga da dentro, erompe come un fiume in piena, un’onda che scaturisce dall’intimo più intimo e che non pensavi di avere dentro. Tanto che dopo i fiotti sei costretto a riflettere sulla sua origine. E “bocca dentro bocca” non puoi “non chiederti perché”, perché tanto “tutto poi ritorna”.

Le parole scritte da Letterio, quelle condivise in questi mesi, le sue immagini e quelle di Antonio sono capaci di toccare corde profonde. Emozioni. Come quelle di un padre e un figlio, una madre e un figlio che si incontrano per la prima volta. Persone – in questo le parole dei Negramaro bene sintetizzano lo spirito di Braccia Aperte – una di fronte all’altra. Si guardano negli occhi, avvicinano le mani, si stringono, si riconoscono.

“Ognuno di noi da solo non vale niente” (…) per questo dovete “sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario”. (Ernesto “Che” Guevara nella Lettera ai figli)
I temi affrontati e indagati da Letterio Scopelliti nel suo libro, con ricchezza di voci e informazioni, sono ricchi e si intersecano. A partire dai numeri dell’infanzia boliviana, tragicamente dolorosi: come Letterio ricorda sono 1,6 milioni i bambini che lavorano (1/5 dei bambini tra 5-14 anni), 9 bambini su 10 sono maltrattati, 2 milioni sono i bambini che vivono sotto la soglia della povertà (il 20% della popolazione della Bolivia), il 35% dei bambini non viene pagato per il lavoro che comunque svolgono.
I numeri della Bolivia non sono da meno: il 60% della popolazione vive come meno di 2 dollari al giorno, il 70% vive sotto la soglia di povertà.
Un’eco che costringe il lettore ad affrontare il libro in religioso silenzio. Che pareggia con l’assenza di rumore della spesso affollata Bolivia, e si scontra con il frastuono incredibile, il brulichio, la musica, i canti e i balli della manifestazione annuale per la Vergine di Copacabana, la Santa Patrona della Bolivia.
Il ruolo della Chiesa, e dei Padri salesiani in particolare, in Bolivia si è rivelato fondamentale. A partire dal progetto Don Bosco, avviato 20 anni fa con la trasformazione degli orfanotrofi di Santa Cruz in case (Hogar) per bambini abbandonati, maltrattati e malati. I salesiani – come bene evidenzia Vittorio Pierobon, vice direttore del Gazzettino nella prefazione al libro di Letterio – sono i veri pilastri, la loro presenza capillare ha supplito alle colpevoli carenze di uno stato che non c’era. Grazie anche al ruolo dei volontari, altre figure fondamentali che hanno consentito alla Bolivia di rialzare la testa.
Tralascerò il come e perché Letterio sia arrivato fino in Bolivia, come non dirò nulla del matrimonio del giovane Antonio con Valeria, e del viaggio nel viaggio successivo. E, nemmeno dirò alcunché dell’assenza di spirito cooperativistico nelle cooperative boliviane, della speculazione sui lavoratori (spesso bambini), dei padri che sfruttano i figli.

San Ernesto de La Higuera. Ecco di lui avrei voluto dire di più. Scopelliti dedica un intero capitolo, l’ultimo, alla figura del guerrigliero, rivoluzionario e medico argentino assassinato in Bolivia nel 1967.
Letterio lo sa, ma dopo la descrizione del nonno dal poncho bianco non ho resistito e mi sono immerso. Volevo sapere, volevo vedere attraverso la sua lente, Che Guevara ed i suoi luoghi.
Tra sacro e profano, lo sguardo coglie una Bolivia sincretica, a migliaia di metri sulle Ande, restituendo oggi un quadro inedito e straordinariamente originale. La trasformazione di un mito, anche mediatico, in liturgia. E turismo. Sulla Ruta del Che, progetto del presidente Evo Morales, che prevede di costruire 800 chilometri di itinerari culturali, tra storia e ricordo.
In anteprima assoluta per Folkest, la mostra “La sonrisa de un niño” si è arricchita di altre 12 immagini straordinarie ed inedite come le precedenti 100. Si tratta de “La ventana del Che” (da un’idea dell’amico e collega Alberto Chicayban), con fotogrammi che ripercorrono le ultime tappe del Comandante Guevara: dalla lettera-testamento a la Higuera, Vallegrande, …

Occhi dentro occhi (…) Mani dentro mani (…) Bocca dentro bocca (…) Si cercano, si aspettano, si incontrano, si riconoscono. E iniziano un cammino insieme, per la vita. Una madre, un padre e un figlio abbracciati costruiscono una nuova famiglia, si accolgono, si raccontano, si scoprono e si guardano, giorno dopo giorno. Come gli amici di Braccia Aperte con i loro figli della Bolivia, come Antonio, e come Letterio che le “parole quelle giuste (…) quelle grandi” le ha trovate.

Fabio DELLA PIETRA

Braccia Aperte ONLUS secondo Vittorio Pierobon

Ho scoperto “Braccia Aperte ONLUS” quasi per caso. Il colpevole è uno “storico” amico della Boliva, dove ha lavorato, insegnato, e anche trovato moglie, e che io ho avuto modo di conoscere quando lavorava con me al Gazzettino. E’ lui che mi ha convinto a visitare la Bolivia, ed è stato in quell’occasione che mi sono imbattuto in Braccia Aperte.

Nel paese sudamericano ho avuto modo di conoscere la meravigliosa opera dei Missionari Salesiani, autentici pilastri della crescita socio-culturale della Bolivia; ho visitato le strutture finanziate da Braccia Aperte: l’Hogat de Dios a Saavedra; la Ludoteca a Santa Fe e ho preso visione del “Progetto Monteagudo” che all’epoca stava ancora crescendo.
Ho scoperto un mondo di generosità, in gran parte “made in Veneto”. Dalla Bolivia a Scandolara il passo è stato…breve. Partecipando ad alcuni incontri dell’Associazione ho conosciuto persone semplici e generose, gente genuina che si guadagna la vita spesso anche con sacrifici, ma che non si è chiusa nell’egoismo sempre più diffuso nella società in cui viviamo. Al contrario gli amici di Braccia Aperte trovano gioia e gratificazione nel donare agli altri. Molti di loro hanno avuto la forza di fare il dono più grande, quello di una famiglia, adottando bambini orfani, altri regalando tempo e denaro. Un concentrato di solidarietà che recupera il senso della vita. Si divertono e fanno del bene. una formula apparentemente semplice, ma ricca di contenuti. Tra i soci di Braccia Aperte c’è tanta umanità: ognuno di loro è il protagonista di una storia autentica che meriterebbe gli onori della cronaca. Ma purtroppo, e qui parlo da addetto ai lavori, al giorno d’oggi fa notizia ciò che non va: il negativo prevale sul positivo. Viviamo in un mondo in cui l’apparire conta più dell’essere, una velina è più famosa di un premio Nobel. Chi fa del bene non fa notizia. Non possiamo cambiare il mondo, però ognuno può fare la sua parte. I latini dicevano: “gutta cavat lapiden”, la goccia scava il marmo. E le gocce di generosità distillate da Braccia Aperte in questi dieci anni di attività hanno lasciato un segno profondo.

Vittorio Pierobon
vice-direttore del quotidiano “Il Gazzettino”

Viaggio in Bolivia – Associazione Braccia Aperte Onlus

Vola dove il cielo abbraccia la madre terra, la pachamama, così ha scritto Letterio sul libro dedicato alla Bolivia, a noi, ed a coloro che hanno la fortuna di leggerlo.

Ho volato in questo mondo che come sempre ti riempie di sensazioni e pensieri, di attese e aspettative che poi si sono concretizzate.

Volo con Alitalia (Venezia – Roma – S. Paolo) e Gol (S. Paolo – S. Cruz), 24 ore di viaggio tra cielo e terra. Finalmente arrivo a destino, siamo in tre, io Mauro e Mario, l’altra delegazione già da alcuni giorni si trova in Bolivia a Monteagudo.

E’ primavera, il che vuol dire caldo, molto caldo rispetto al clima autunnale che abbiamo lasciato in Italia. E’ il 23 ottobre.

Saluti ed abbracci con Milenka, Ivan ed i loro figli, una giovane famiglia del posto, nostri amici di lunga data nonché miei compari di battesimo. Ci attendono per condividere insieme gran parte della nostra permanenza di 15 giorni in Bolivia. Milenka è il nostro braccio operativo sul posto, è socia onoraria dell’Associazione, si interessa dell’acquisto di artigianato locale che poi rivendiamo in Italia. Inoltre segue la gestione burocratica inerente le nostre attività di solidarietà sul posto.

Usciamo dall’aeroporto di Viru Viru, si chiama così perché realizzato dai giapponesi alcuni decenni fa. Operazioni doganali abbastanza veloci, non come in Brasile dove la pignoleria non manca mai.

Via subito a Montero, cittadina di 100.000 abitanti a 70 chilometri da S. Cruz. Alloggiamo al Pinocho, un ottimo albergo, un po’ caro considerando la località, ma alla fine, per noi abituati a certi confort un toccasana. Sono le 18,00, Ivan e famiglia ci lasciano, abbiamo ancora alcune ore disponibili prima di coricarci per riposare dopo il lungo viaggio. Ci rechiamo subito dalle suore oblate salesiane di Montero per verificare lo stato di avanzamento della costruzione di un asilo che la Onlus amica, Dassi Maria Bianca di Treviso sostiene. Ci è stato chiesto di fare foto e prendere informazioni.

Il giorno successivo, in taxi, costo 3 euro per 15 chilometri andiamo a Saavedra, dove sorge l’Hogar de Dios, progetto realizzato dalla nostra Associazione e dove Antonio e Marisa originari di Treviso e Padova gestiscono questa opera in modo ammirevole. 42 bambini cerebrolesi ospitati, seguiti, assistiti e curati. Veramente meritevole il lavoro di questi due amici e volontari. Per il mantenimento dell’opera una fattoria ed un caseificio che inizia a produrre formaggi e derivati tra l’altro di ottima qualità. 42 giovani ospiti nel centro e 42 dipendenti impiegati tra personale infermieristico e campesinos.

Tutto si trasforma dentro di te quando fissi gli occhi di questi bambini, quando tendi una mano per una carezza. Cerchi di pensare, ti chiedi perché ma non sai darti una risposta e questo ti crea maggior sofferenza.

Giorno 25, partiamo per Monteagudo con un minibus chiamato Micro. Milenka lo ha noleggiato chissà dove, è il peggiore che abbia mai utilizzato durante le mie varie permanenze in Bolivia. Siamo un bel gruppo, noi tre, P. Longo, P. Corona, P. Iriarte, Josè Luis di La Paz, altro nostro amico e socio onorario boliviano, Milenka e la simpatica coppia Genny e Michele che da anni prestano la loro opera di educatori nel centro Mano Amiga di S. Cruz. Tanta allegria e condivisione durante il viaggio, 10 ore di Micro di cui 4 di asfalto e 6 di sterrato nelle Ande; un secco da giorni con una polvere che entra nel mezzo da qualsiasi parte senza tener conto che due finestrini non si chiudono. Chi con fazzoletti umidi sulla bocca, chi con continui spostamenti alla ricerca di un po’ di aria pulita. Finalmente alle 20,00 della sera si arriva a Monteagudo dove gli altri italiani ci attendono. Saluti, convenevoli, cena e doccia. Dalla mattina seguente tre giorni di incontri culminati con l’inaugurazione del terzo blocco e definitiva consegna dell’opera da noi realizzata alle suore Mariane, si tratta di un complesso scolastico per 900 studenti. Presenze di autorità civili e religiose, pranzi e cene, manifestazioni con costumi tipici ufficializzano ed allietano la nostra permanenza in Monteagudo. Un grande regalo quasi inaspettato ci viene concesso dal Rettore dell’Università Salesiana di La Paz P. Corona: la firma della convenzione per corsi universitari in questa scuola.

Il quinto giorno si riparte per S. Cruz, ancora lo stesso Micro del viaggio di andata ad attenderci, per affrontare l’avventura del ritorno verso la pianura amazzonica. Ancora polvere e disagio.

Pernottamento a S. Cruz, Hotel Italia a due passi dalla piazza centrale 24 settembre, città con una popolazione di circa un milione e settecento mila abitanti, la più popolata della Bolivia. Buona occasione per effettuare cambio valuta da euro a boliviani, per un euro otto boliviani e settanta centesimi. In un angolo della piazza si trovano i cambisti, bisogna fare molta attenzione quando contano i soldi, immancabilmente tentano di imbrogliarti, anche nei nostri confronti questo tentativo. Milenka arrabbiatissima riprende l’uomo apostrofandolo, dicendo lui: che bella immagine danno i boliviani nei confronti dello straniero.

Mattina del primo novembre, in aeroporto a Viru Viru e volo con la nuova compagnia aerea Amazones, nata di recente dopo il fallimento dell’Aerosur e concorrente con la compagnia di bandiera Boa voluta dal Presidente Evo Morales. Andiamo a El Alto di La Paz. Il nome dell’aeroporto dice tutto, siamo a 4000 metri di altitudine e la città, capitale più alta del mondo si sviluppa su di un imbuto che scende fino ai 3700 metri. Manca l’ossigeno e si cammina lentamente sempre con il fiatone. Il corpo si sente strano, dicono che servano almeno tre giorni per prendere l’altitudine. E’ una giornata piovosa e fredda ma dobbiamo rispettare i nostri programmi, pertanto subito all’Università di La Paz dal rettore P. Corona e poi nella Calle dell’artigianato a fianco dell’antica cattedrale di S. Francesco realizzata nel 1581. La sera un invito a cena inaspettato da Josè Luis, il nostro caro amico di La Paz. Un appartamento carino dove l’accoglienza ed il calore della moglie Alison e del figlio Thelian ci rende la serata piacevole.

2 novembre, con un Micro tutto il gruppo in viaggio nell’altopiano di El Alto che i quecha chiamavano terra del cielo, tre ore di strada su di una quasi pianura situata a 4000 metri, giungiamo al lago Titicaca che si estende tra Bolivia e Perù. Dicono i boliviani che la parte loro è il titi e la parte peruviana è il caca, non serve commento. Raggiungiamo Ancoraimes un paese dove la miseria e la povertà regnano. Siamo come detto il 2 novembre giorno dei morti, nel centro grande festa con balli canti e soprattutto alcol, gente ubriaca dalla mattina, rubiamo qualche foto, ma attenzione perché se si accorgono passiamo guai. In questo paese necessita un intervento a favore dei bambini, ci accompagna il vescovo di El Alto Mons. Bascopè proponendoci un progetto di cooperazione.

Con il ritorno a La Paz termina la nostra presenza in questa capitale che ha circa 800.000 abitanti. La stessa sera siamo nuovamente a S. Cruz con i suoi 30 gradi serali di temperatura.

Finalmente il 3 novembre un po’ di riposo, passeggiate e visite turistiche nei dintorni di Montero. La sera cena a S. Cruz con Michele, Genny, Milenka e le sue sorelle in un bellissimo locale all’aperto: La casa dei Camba. Il Camba è l’etnia della parte orientale della Bolivia, mentre il Collas è di quella occidentale, andina. Fisionomie diverse, lineamenti marcati per i Collas mentre più indio europei per i Camba. Menù tipico tendenzialmente piccante con carne di tutti i generi, Juca ed altri tuberi. Si beve buona birra, la Huari e la Pacena.I camerieri con il classico abito bianco e fascia verde, il colore dei Cruzeni.

Giorno 4 novembre, la sveglia di mattina presto alle ore 5,00, in Micro con tutto il gruppo di italiani con destinazione il Divino Nino, dopo S. Carlos lungo la strada per Cochabamba. Qui P. Carlo Longo missionario salesiano originario di Trebaseleghe Padova è responsabile del santuario dedicato al Divino Bambino, ogni prima domenica del mese migliaia di persone si recano alle celebrazioni per ricevere grazie e benedizioni, provengono dalle zone più disparate della Bolivia. Da S. Cruz alle 4 del mattino partono bus carichi di fedeli per questa località. Partecipiamo alla messa delle 7,30 occasionalmente celebrata da Mons. Tito Solari arcivescovo di Cochabamba, originario di Udine. Migliaia i presenti all’interno ed esterno della chiesa. Per me un momento importante, sono il padrino di Sebastian, il figlio di Ivan e Milenka che riceve il battesimo proprio in questa celebrazione. Terminata la messa si attende P. Carlo impegnato a benedire tutti e di tutto con un ramoscello e tanta acqua santa da dispensare, persone, oggetti, auto, motori, Micro. Alle ore 13,00 pranzo a S. Carlos a base di pesce di fiume, anche qui in un piacevole locale all’aperto dove la natura ti abbraccia con la sua caratteristica flora.

Verso le ore 16,00 nuovamente una visita all’Hogar de Dios con tutto il gruppo, Antonio ci attende e accompagna all’interno del centro, ci racconta di lui e di sua moglie, dei ragazzi e dell’opera, della Bolivia. Il suo sorriso è l’espressione del bene che vuole ai suoi ragazzi. Il suo sorriso ci toglie imbarazzi e ci permette di trascorrere questi momenti con maggiore serenità.

L’imbrunire della giornata segna anche l’imbrunire del nostro viaggio in Bolivia, il giorno successivo alle 12.50 si parte per l’Italia. Altre 24 ore di viaggio con Gol e Air France via Parigi.

Ancora una volta torniamo ricchi, la Bolivia, la sua gente, i nostri missionari e volontari custodiscono un grande tesoro che condividono con noi e quanti si recano dove il cielo abbraccia la madre terra.

Tesoro di umanità e fratellanza.

Sergio Bonato