Prefazione al libro “Amori Boliviani”

Non c’è solo il mal d’Africa. Ci sono altre terre che ti conquistano e ti entrano nel cuore. Amore a prima vista, si potrebbe dire. Letterio Scopelliti, giornalista sensibile e scrupoloso, con il senso della notizia e con il garbo giusto per raccontarla, si è innamorato della Bolivia. Non a caso il libro-reportage si intitola “Amori boliviani” riferendosi al sentimento  che unisce i protagonisti della storia narrata, ma ammiccando  anche a quello che è scoppiato tra l’autore stesso e il Paese sudamericano.

La Bolivia, per noi europei è un Paese semisconosciuto, spesso viene confusa con la Colombia, probabilmente per un errato denominatore comune legato alla cocaina e alla produzione di piante di coca. Poco altro. Sfido chiunque a citarmi il nome di una città boliviana che non sia La Paz o a dirmi i nomi di personaggi famosi nativi della Bolivia. Il vuoto. Ma per ignoranza nostra. Noi occidentali crediamo che conti solo ciò che gira attorno al nostro mondo. Siamo ancora fermi  al Roma caput mundi.

Letterio Scopelliti ha avuto l’umiltà di avvicinarsi alla Bolivia con gli occhi del cronista, scevro da qualsiasi pregiudizio, desideroso di scoprire e capire. E in pochi giorni l’ha percorsa in lungo e  in largo, dalle foreste amazzoniche a nord-est di Santa Cruz ai picchi andini a cinquemila e passa metri attorno a La Paz, dal lago Titicaca ai confini con il Perù allo sterminato Salar de Uyuni, il lago salato che nasconde la più grande riserva di litio del mondo, e ancora dal santuario della Madonna di Copacabana (non quella brasiliana) al gsantuarioh di Vallegrande, dove venne portato in esposizione in corpo di Ernesto Che Guevara, ucciso a La Higuera nella selva boliviana.

Certo, questo viaggiare frenetico non sarebbe stato possibile se Scopelliti non avesse avuto l’assistenza dei padri salesiani, potendo contare sulla loro ospitalità e sul loro profondo radicamento nel territorio. I salesiani, autentici “uomini di Dio”che hanno consacrato la loro vita alla preghiera, ma anche e soprattutto all’azione concreta sono una delle architravi su cui è poggiata la crescita sociale e culturale del  Paese. Uomini come padre Carlo Longo di Trebaseleghe, padre Ottavio Sabbadin  di Loria, o padre  Thelian Argeo  Corona, messicano, le cui figure vengono appena ricordate per ovvie esigenze narrative, sono i pilastri su cui poggia l’organizzazione salesiana in Bolivia. Autentici benefattori che trovano nella fede la forza per compiere un lavoro che non ha prezzo.

Una presenza capillare e qualificata, quella salesiana. Una presenza che da sempre ha supplito alle carenze di governi ballerini, soggetti ai colpi di  Stato e poco inclini alla democrazia, che si sono succeduti nel tempo. Dove non c’è lo Stato ci sono i salesiani con scuole di ogni ordine e grado, università comprese, centri accoglienza per ragazzi di strada, ragazze-madri, orfani, e ancora centri di avviamento professionali, presidi sanitari. Un contributo fondamentale allo sviluppo della Bolivia. Lo ha capito anche Evo Morales, l’ex sindacalista dei lavoratori della coca, primo indio a diventare presidente della Repubblica che, pur ispirato da principi marxisti, si è reso conto che la Bolivia non può fare a meno del contributo salesiano. L’istruzione e i servizi sociali sono in gran parte gestiti dai volontari cattolici, eredi di quelle missioni giunte al seguito dei conquistadores. Allora – purtroppo – la religione avanzava a colpi di spada. Oggi – meravigliosamente – la religione è al servizio degli ultimi. La missione sociale, viene ancor prima di quella evangelica.

Letterio nel suo viaggiare frenetico – in aereo, in pullman lungo le salite a precipizio, in fuoristrada e persino a dorso di mulo – ha avuto sempre l’assistenza dei salesiani e la compagnia dell’altro grande protagonista di questa storia d’amore per una Terra: Antonio. gTonih, come lo chiamano in molti, si è sposato con la Bolivia. E non è una frase retorica, perché davvero Antonio, ormai molti anni fa, si è sposato con una ragazza boliviana, Valeria, che gli ha donato tre splendidi figli. Una storia che, nel libro di Scopelliti, diventa il filo di Arianna che porta l’autore attraverso il cammino di Antonio – giovane insegnante italiano in un istituto salesiano a Sucre, l’antica capitale, che si innamora di una ragazza non ancora diciassettenne che viveva in un collegio di suore sperso sulle pendici andine a Monteagudo – a farci scoprire le bellezze e le contraddizioni della Bolivia.

Un Paese di meno di 10 milioni di abitanti, distribuiti su una superficie tripla di quella dell’Italia. Spazi infiniti. Silenzi. Terra dura, ostile. Clima vario, dal caldo equatoriale al gelo andino. Situazioni estreme. Nessuno sbocco a mare: prigionieri della cintura formata da Brasile, Paraguay, Argentina, Cile e Perù. Metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. E questo nonostante la ricchezza di materie prime (argento, stagno, gas e litio, minerale base per la composizione delle batterie dei cellulari) i cui proventi finiscono in gran parte alle multinazionali straniere, lasciando solo le briciole ai boliviani. A pochi boliviani. Ora Morales sta cercando di nazionalizzare miniere e giacimenti, ma il processo non è facile: tecnologie, macchinari e professionalità sono in mano straniera. La Bolivia per poter camminare con le proprie gambe  deve colmare un gap culturale e formativo frutto di centinaia di anni di sfruttamento.

Gli Amori boliviani di cui racconta Letterio non possono prescindere da questo contesto, anzi ne sono fortemente influenzati. Valeria, la ragazzina orfana, di cui si è innamorato Antonio, è figlia di quella e questa Bolivia. Paese in cui è normale abbandonare i figli. Paese dove frequentare un scuola è ancora un privilegio. La strada del riscatto sociale per tutti è ancora difficile. La Bolivia ha bisogno di essere aiutata, sostenuta nel suo percorso. E questo libro, scritto con il cuore da un collega del Gazzettino che ho sempre apprezzato per la grande sensibilità d’animo e l’onestà intellettuale, rappresenta un importante mattone nella costruzione della nuova Bolivia. Un contributo di conoscenza, ma soprattutto un’intensa testimonianza. Una testimonianza d’amore, come quella di Braccia Aperte, l’associazione di Zero Branco, formata da famiglie che hanno adottato bambini boliviani, che da anni, in segno di attaccamento con la terra d’origine dei figli, sostengono con importanti offerte, frutto di sottoscrizioni, mercatini e pesche di beneficenza, progetti in Bolivia. Hanno già interamente finanziato la costruzione di un modernissimo centro d’accoglienza per bambini cerebrolesi. Ora, trascinati da Antonio, stanno raccogliendo fondi per una scuola polifunzionale che accoglierà un migliaio di giovani: dall’asilo alle superiori. Già una parte del complesso è stato inaugurato. E la scelta del luogo dove far sorgere questo istituito è ancora un volta un segno d’amore: Monteagudo il paese dove è stata accolta dalle suore la piccola Valeria, la moglie di Antonio.

E così il puzzle di storie, che si intrecciano nella narrazione di Scopelliti, si chiude. Antonio, autentico gambasciatoreh della Bolivia in Italia, con l’aiuto dei generosi volontari di Braccia Aperte, e la guida dei salesiani, sta portando il suo regalo di nozze a Monteagudo. Una scuola per tutti i bambini di quella vasta e dimenticata porzione della Bolivia. Lì ieri è nato un amore. Lì oggi nasce, per migliaia di bambini, la speranza di un futuro.

 

Vittorio Pierobon

Vice Direttore del quotidiano Il Gazzettino

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